di Luciano Trapanese
Ricchi sempre più ricchi. Poveri in aumento. Classe media fragile, disorientata, convinta che andrà sempre peggio. Non c'era bisogno del Rapporto sulla qualità dello sviluppo in Italia per disegnare questo quadro. E neppure per scoprire che la Campania, insieme a Calabria e Sicilia, è all'ultimo posto. Fanalino di coda di una classifica già deprimente.
Tutto questo genera sfiducia nel futuro (avevate dubbi?). Paura del diverso (gli immigrati). E alimenta quei sentimenti di chiusura che stanno divampando un po' ovunque. Non solo in Italia.
Il sud in fondo al baratro, dunque. E nei giorni scorsi abbiamo sentito l'ennesimo governo proclamare a Napoli la frase: «Il Mezzogiorno è la priorità». Ma chissà perché quella priorità resta sempre irrisolta. Anzi, peggiora.
I ragazzi del nostro Vivaio (la scuola di giornalismo multimediale di Ottopagine), hanno avviato una serie di inchieste sull'emigrazione giovanile (ne avete già letto alcune). Tanti di loro – che oggi hanno tra i 16 e i 18 anni -, hanno già detto: partiremo. Con amara consapevolezza.
La loro voce è del tutto simile a quella di altri coetanei. Molti non sanno neppure cosa faranno. Ma qualunque cosa sia è lontana da qui. Spesso lontano dall'Italia.
La Campania perderà entro il 2050 due milioni di abitanti. Un esodo. Resteranno gli anziani, i bambini e qualche camorrista. Inutile girarci intorno: un dramma.
Siamo ancora in tempo per invertire la rotta? Le prospettive sembrano pessime. E per tanti motivi.
Le classi dirigenti si stanno rivelando a tutti i livelli (non bastano le poche eccezioni), del tutto inadeguate al mondo nuovo che si è aperto con la rivoluzione digitale, la globalizzazione (e i relativi guasti), il crack economico. Siamo rimasti nel '900 (dalla scuola al lavoro), e non riusciamo a uscire dalle sabbie mobili che ci legano al passato (inutile pensare con nostalgia al boom, agli anni '70 e così via: quell'epoca non tornerà più).
La Campania era una delle regioni con più giovani in Italia. Quella con la più alta natalità. Non è più così. In pochi decenni quella realtà s'è rovesciata.
Ma non solo. Oggi a emigrare sono anche i ragazzi del “ricco” nord.
E' un fuggi fuggi che lascia aperte ferite insanabili. Anche perché – come ha sottolineato Toni Ricciardi, studioso di flussi migratori -, chi parte non ha intenzione di tornare. Anzi, molto spesso recide ogni legame con le sue radici.
E gli immigrati – per molti origine di ogni male – c'entrano ben poco (vogliono partire anche loro).
Gli indicatori che segnalano tutto questo si moltiplicano. Ma il nostro sistema Paese s'è bloccato sulla legge elettorale, sulle polizze della Raggi e le fritture di De Luca. Sconfortante. Sarebbe necessario un ribaltamento concreto delle nostre antiche convinzioni (sul lavoro, la scuola, il welfare), per tentare di adeguare l'Italia e la Campania, a una realtà in profondo divenire. Invece niente. Restiamo immobili. Quasi paralizzati. Il dialogo è stato annichilito dall'insulto. Gli slogan hanno sostituito ogni possibile argomentazione. La polarizzazione delle posizioni impedisce il confronto. Molti aspettano l'uomo forte (alla Trump o Putin), per cambiare le cose. Una soluzione che rischia di essere peggiore del male.
Nel frattempo il dibattito è comunque forte: sulle canzoni di Sanremo...