L’Europa è da anni nel sentimento popolare avvertita come qualcosa di distante, un’entità lontana, da cui difendersi, un qualcosa di burocratico che esiste per bloccare e opprimere i cittadini. Eppure questo grande, visionario e innovativo processo politico e umano dovrebbe rappresentare invece un percorso di partecipazione senza precedenti nella storia dell’umanità.
L’Europa della condivisione, della convivenza, della pace, delle differenze che si intrecciano e creano appartenenza.
Purtroppo nei decenni il sogno si è assopito e l’Europa si è trasformata in una struttura burocratica che rischia di perdere la sua spinta emotiva, la sua carica sognante, la sua ragione di essere.
Ezio Bosso, scomparso che settimana fa, direttore d’orchestra e compositore di fama mondiale, nel suo discorso per commemorare Claudio Abbado al Parlamento Europeo commosse gli europarlamentari e rimise al centro l’idea di un’Europa unita diversa da ciò che è.
Le sue parole come sempre mai banali e mai inutili, sono diventate un’inno al sogno di un’Europa diversa capace di essere “un’orchestra” che si ascolta perché, come disse Bosso in quel parlamento commosso “La musica ci insegna la cosa più importante, ad ascoltare e ad ascoltarci. Un grande musicista non è chi suona più forte ma chi ascolta più l’altro”
Ciao
Sono abituato a stare di schiena per fare musica. C’è un aspetto della musica a cui appartengo, quella definita classica nel modo più bello cioè che ci accompagna sempre, cioè la musica quella che trascende. Vi parla un bambino che da quando aveva 4 anni era abituato ad essere europeo perché è facile perché noi che dedichiamo la nostra vita alla musica, sin da piccoli frequentiamo austriaci, Beethoven, o francesi de Bussy, o tedeschi. Vedete non c’è un confine. La musica non è solo un linguaggio, è una sorta di trascendenza. La trascendenza è ciò che vi porta oltre. Di faccio da centinaia di anni continuiamo a sonora Bach un ragazzo che fece a piedi 70 km per conoscere la musica di Benedetto Marcello che era la sua musica e per trascriverla, o Schubert che spese gli ultimi soldi per andare a sentire il Paganini ma non perché italiano ma perché era un violino.
Noi siamo uno strumento, che abbiamo la bacchetta o qualsiasi forma di strumento, andiamo oltre portando la nostra identità e di fatto se ci pensate ce l’abbiamo a portata di mano questa identità. L’orchestra che sto dirigendo adesso, arrivo dalle prove, è un’orchestra italiana ma il primo violino è rumeno, la prima viola ungherese, eppure siamo tutti semplicemente un’orchestra. Noi esseri umani, dal mio punto di vista siamo un po’ buffi perché tendiamo a guardare ed erigere muri, anziché a scoprire che ce l’abbiamo a portata di mano. Questo luogo, così importante, così voluto, così combattuto, mi fa venire in mente quel desiderio. Vedete è buffo ma Beethoven sognava un’Europa unita, non a caso abbiamo quell’Inno alla gioia, che fa un gioco di parole, perché noi che facciamo la musica siamo abituati fin da subito a studiare le lingue sin da subito, da centinaia di anni, perché la musica parla italiano, è stata inventato aretino. Lui fa un gioco di parole tra “freude”, cioè felicità, e “freunde”, amici che guardano insieme alla meraviglia del creato che convive, che vive insieme. Vedete ed è questo, le architetture creano l’identità, la differenza, l’Europa delle differenze, della visione quella che però poi diventa fondamentale per fatti storici. Mendelssohn che descrive l’Italia con i suoi occhi in una sinfonia che diventa Italia in un Scozia. Chicoski che dice la “mia 100 volte amata Italia è il paradiso” ispirandosi a ciò che vede. Ecco la differenza di questa Europa è così importante, le differenze da tutelare dei patrimoni architettonici, ma ce n’è una che ci appartiene ed è la nostra vera e propria radice di europei, dal mio punto di vista, ed è la musica. Quella che fa eliminare ogni confine e che viene considerata anche la cultura europea negli altri paesi del mondo.
Faccio un appello, di lavorare ancora di più, come fece la persona di cui oggi ricorre la nascita, si chiamava Claudio Abbado, 40 anni fa inventò l’orchestra dei giovani dell’allora Comunità Europea. Da lui imparammo che eravamo tutti un’orchestra. L’Europa è un’orchestra a cui rivolgerci. Queste radici di cui vi dicevo, non sono un perno che va dentro ma sono degli altri rami più profondi.
La musica ci insegna la cosa più importante, ad ascoltare e ad ascoltarci. Un grande musicista non è chi suona più forte ma chi ascolta più l’altro e da lì il problema divengono opportunità.
Credete nella musica, credete nell’Europa.
Ciao