Bella Ciao è ormai un inno che ha varcato abbondantemente i confini italiani.
Una canzone che riappare in ogni angolo del pianeta dove c’è una lotta per la libertà. Un canto che ha unito storie diverse, culture diverse, visioni diverse sotto un’unica idea, quella di resistere.
Così la ritroviamo cantata dai ragazzi di Hong Kong che chiedono maggiori libertà, la ascoltiamo dalla voce delle guerrigliere curde a Kobane, nelle piazze greche contro le politiche di austerity, nelle manifestazioni di Parigi, di Londra, di Istanbul.
Eppure la sua genesi è incerta, la sua storia sconosciuta. Bella Ciao sembra essere nata come moto spontaneo, come nasce d’altronde il sentimento di resistenza.
Durante la lotta partigiana era quasi sconosciuta, cantata per lo più nella provincia di Reggio Emilia, si è attestata solo dopo, negli anni del dopoguerra, come inno della storia partigiana.
In molti, erroneamente, fanno risalire Bella Ciao ad un canto delle mondine che però risale al dopo guerra e dunque è posteriore. In realtà la struttura richiama un canto popolare della pianura padana dal titolo Fior di tomba e la ripetizione del “ciao” deriva da un canto infantile diffuso in tutto il nord dal titolo La me nòna l'è vecchierella.
Alcuni hanno trovato nel canto partigiano alcune influenza addirittura dei canti Yiddish.
Un'altra possibile influenza può essere stata quella di una ballata francese del Cinquecento che è mutata attraversando i confini geografici, incolpando parti e pezzi nuovi. Se ne trovano tracce nella tradizione piemontese con il titolo Là daré 'd cola montagna, in quella trentina con il titolo Il fiore di Teresina, in quella veneta con il titolo Stamattina mi sono alzata.
In realtà forse il fascino il di questo canto, che è diventato inno in maniera spontanea e partecipata, è proprio il mistero di questa genesi sconosciuta che gli regala un’eternità e un’attualità continua.