Il 9 novembre 1989 è una data che è entrata di diritto nella storia dell’umanità. Un muro che aveva rappresentato la divisione culturale, storica, politica, economica e ideologica che aveva segnato l’umanità intera dal 1945 in poi, fu abbattuto da una folla in festa che sognava la pace, la libertà e la democrazia. Oggi, in un Europa che vuole ricostruire muri e ricalcare le divisioni, ricordare la caduta del Muro di Berlino significa ridare valore e slancio alla storia dell’umanità riconsiderando la forza di un’Europa che è stata simbolo di unione e non di divisione.
Era il 1989 il mondo era ancora diviso in due, c’erano le due grandi potenze che si contendevano l’intera supremazia globale, che si contrapponevano economicamente, militarmente ma, soprattutto, ideologicamente. Dopo la fine della seconda guerra mondiale l’umanità era rimasta schiacciata in questo conflitto latente, in quella che sarà ricordata come “Guerra Fredda“, che troppo spesso ed in troppe “province” del mondo si riscaldò, facendo morti e lasciando distruzione,. Una guerra che divenne l’Europa spaccandola in due.
Il segno più grande, infatti, della contrapposizione tra il capitalismo occidentale e il comunismo sovietico, fu proprio quella cortina di ferro eretta tra l’est e l’ovest, come un vero e proprio confine che divideva l’Europa ed il mondo intero in due sistemi, uno basato sul liberismo e sull’individualismo e guidato dagli scintillati Stati Uniti d’America; l’altro, guidato dalla Russia, che rincorreva il sogno del comunismo, un mondo nato da una rivoluzione che avrebbe dovuto difendere e liberare i più deboli e che invece era diventata un sistema opprimente.
Eppure le similitudini di quelle due potenze che stavano per diventare protagoniste del più lungo e snervante scontro su scala globale della storia, erano enormi. Entrambe erano nate da una rivoluzione, entrambe abbracciavano ideologie globali e covavano aspirazioni globali abbagliati dal pensiero che il mondo dovesse adattarsi alle loro regole. Fu per questa ambizione, per questo modo di vivere il proprio status come una missione, per questa pretesa che il mondo dovesse, per forza di cose, assomigliare a loro, che per decenni USA e URSS furono in un continuo stato di competizione che portò il mondo , in più di un’occasione, sull’orlo dell’olocausto nucleare.
Il simbolo per eccellenza della Guerra Fredda fu, senza dubbio, il Muro di Berlino, eretto per dividere la parte sotto l’influenza sovietica da quella sotto il controllo degli alleati. Il muro costruito nel 1961 e definito come “muro di protezione antifascista” divise la città di Berlino fino al 1989 e fu la rappresentazione plastica di quel periodo della storia globale.
Per anni i tedeschi orientali, quelli che vivano sotto il regime comunista della DDR (Repubblica Democratica Tedesca), provarono in tutti i modi a passare nella germania occidentale, tramite ogni tipo di ingegno. C’è la storia della famiglia che riuscì addirittura a costruirsi una mongolfiera e a volare verso l’occidente. C’era chi aveva scavato tunnel, chi nascondeva amici e parenti in doppi fondi segreti nei portabagagli delle automobili. C’è stato chi purtroppo è stato ucciso nel tentativo di fuggire.
La storia più toccante è sicuramente quella di Peter Fechter, diciottenne muratore di Berlino Est che fu colpito dalle guardie di confine della DDR e lasciato morire senza essere soccorso.
Quel muro sembrava incrollabile, come d’altronde sembrava incrollabile l’intero sistema sovietico, eppure, come fu per tutto quel mondo, venne giù in maniera insolita, senza spargimento di sangue in una notte di novembre, quando nessuno se lo aspettava, mentre Gorbachov dormiva sereno al Kremlino ed Erog Krenz era bloccato ad una riunione del Comitato Centrale.
Ma partiamo dall’inizio, quella che vogliamo raccontare è la storia della sua caduta.
Nel maggio del 1989 alle elezioni farsa della DDR l’allora presidente Erich Honecker raccoglie il folle risultato del 98,95 % dei voti, e mentre a piazza Tienanmen si scatenano le rivolte che vengono represse nel sangue e che metteranno, per l’ennesima volta, sotto gli occhi dell’opinione pubblica mondiale, la violenza dei regimi comunisti, nella Repubblica Democratica Tedesca Erich Mielke, fondatore e capo della STASI, la famigerata e spietata polizia segreta del regime, elogiava l’azione dell’esercito cinese contro i manifestanti definendola come “misure decise volte a sopprimere agitazioni controrivoluzionarie”. La televisione della Germania Est trasmetteva in continuazione un documentario prodotto a Pechino che valorizzava “l’eroica reazione dell’esercito cinese e della polizia alla perfida ferocia degli studenti dimostranti”.
Tutto sembrava procedere nella normalità agli occhi dei dirigenti di un regime che non aveva più alcun contatto con la realtà, un regime che aveva i conti totalmente fuori controllo e che viveva schiacciato dalla convinzione del suo leader Honecker di essere il campione del socialismo nel mondo.
Intanto in Ungheria le cose si iniziavano a muovere, il nuovo governo aveva abbattuto le recinzioni di filo spinato che delimitavano il confine con l’Austria e questo aveva generato un flusso enorme di tedeschi orientali che raggiungevano quel confine con le loro Trabandt per attraversarlo e raggiungere l’occidente. Moltissimi cittadini della DDR si rifugiano nell’ambasciata della Germania Occidentale a Budapest. Si calcola che nel settembre del 1989 circa 130.000 tedeschi arrivano in Ungheria. Il governo ungherese lascia che i cittadini della Repubblica Democratica Tedesca passino il confine, e Honecker accusa i compagni ungheresi di aver tradito il socialismo. Nello stesso mese altri tremila tedeschi scavalcano la recinzione dell’ambasciata della Germania Ovest a Praga e chiedono asilo politico. A Praga i fatti vengono mandati in diretta mondiale e Honecker si vede costretto ad autorizzare la partenza dei tremila per l’occidente. Il presidente però vuole che questi vengano fatti viaggiare in treni sigillati attraverso la DDR, convinto di poter far passare questa fuga come un’espulsione. Il treno però viene accolto da applausi e manifestazioni di solidarietà in tutto il paese, moltissimi cercano di salire a bordo durante il tragitto.
Honecker però è concentrato solo sui preparativi della grande commemorazione per l’anniversario dei 40 anni della DDR, al quale, naturalmente, partecipa Gorbachov. Al leader sovietico, a quello che viene visto come l’uomo del cambiamento e dell’apertura, si rivolgono i ragazzi radunati in strada dal partito per le celebrazioni, i quali smettono di intonare i cori autorizzati e iniziano a gridare “Gorby, aiutaci! Gordy salvaci!“.
il 18 ottobre Honecker, a seguito delle proteste degli studenti di Lipsia, è costretto a dimettersi e a succedergli sarà Ergon Krenz, il quale assicura, in un incontro al Cremlino con Gorbachov, che non userà la violenza sui manifestanti e che inizierà a valutare la possibilità di creare dei permessi di viaggio all’ovest.
Il 9 novembre Krenz, di ritorno da mosca, in una riunione del Politburo decreta un allentamento della norme che limitano i viaggi in occidente. Il decreto però viene redatto frettolosamente e viene consegnato a Gunter Shabowski, membro del Politburo che si occupava di comunicare con la stampa ma che non aveva partecipato alla riunione.
Il 9 novembre nella sala stampa del comitato centrale della Sed, nessuno può anche solo immaginare che si sta facendo la storia. Günter Schabowski da un’occhiata veloce al decreto e, forse senza neanche rendersene conto, pronuncia una frase di enorme potenza: “i cittadini della DDR sono liberi di passare attraverso qualsiasi transito di confine”. I giornalisti in sala sono increduli, tra i presenti c’è anche un italiano Riccardo Ehrman, corrispondente dell’ANSA, che pone la domanda con la quale inizia a crollare il muro. Ehrman chiede da quando sarebbero entrate in vigore le nuove regole. A questo punto Schabowski cercando le informazioni tra i fogli che ha sulla scrivania dice: “in base alle informazioni in mio possesso, immediatamente“.
Le parole del funzionario hanno un’eco enorme, in pochissimo tempo i berlinesi scendo in strada, si recano ai valichi. Krenz viene informato tardi dell’accaduto perché è impegnato in una riunione del comitato centrale. La folla diventa una marea e le guardie di confine aprano i valichi. In poche ore Berlino torna ad essere una città unita, in poche ore si dissolve anche plasticamente l’intero blocco comunista, in poche ore, senza spargimento di sangue, finisce il più sottile e snervante conflitto dell’umanità. Gorbachov dormiva tranquillo a Mosca, non verrà svegliato, saprà dell’accaduto al suo risveglio, quando ormai tutto sarà già accaduto.
La Germania sarà riunificata formalmente il 3 ottobre 1990, l’Unione Sovietica si dissolverà tra il 19 ed il 21 agosto del 1991, ma la Guerra Fredda, quel mondo, quella realtà, finisce il 9 novembre 1989, giorno che resterà per sempre nella memoria collettiva, nelle menti e nei cuori di tutti attraverso le immagini commoventi di una Berlino che torna unita e dei Berlinesi che si abbracciano per le strade, ballano sul muro, suonano e festeggiano per le strade di una città che torna ad essere se stessa.
Un giorno di speranza, un giorno nel quale l’Europa si riscopre culla di speranza, un giorno che troppo spesso le nostre classi dirigenti rischiano di dimenticare, un giorno dal quale sarebbe potuto nascere un sistema di pace e di libertà e dal quale invece siamo ripiombati in un periodo di incertezza e guerra.