Una piccola Pompei andata distrutta dall’incuria dell’uomo, oltre che dai criminali che ogni giorno sversano rifiuti non solo tra il verde, ma anche lì dove ci sono i segni di una civiltà antica, di una cultura remota. Siamo a Terzigno, nel napoletano nella cava Ranieri. Uno spazio immenso ed incontaminato alle falde del vulcano, che è parte integrante del Parco Nazionale del Vesuvio. Al suo interno ben sei siti archeologici, quelli di altrettante ville rustiche. Un’area che, se venisse valorizzata, potrebbe trasformarsi in un parco geo-archeologico, primo esempio al mondo. Uno dei siti però è stato danneggiato, probabilmente per sempre. Bisogna fare presto per salvare il salvabile. A causa del maltempo delle scorse settimane è venuta giù la tettoia in lamiere che proteggeva la villa numero 1. Fra tutte, quella meglio mantenuta e al cui interno sono conservati, almeno da 30 anni, preziosi reperti. In particolare, i dolium risalenti al 79 dopo Cristo, grandi contenitori di terracotta di forma ovoidale utilizzati nell’antica Roma per la conservazione di vino ed altri prodotti alimentari. Alcuni di questi vasi sono stati distrutti, altri rischiano di fare la stessa fine. Senza dimenticare che possono facilmente diventare preda dei tombaroli.
Sulla vicenda registriamo la rabbia del Comitato Civico Vesuviano che già nel lontano 2012 aveva segnalato alle autorità il rischio di un possibile cedimento della tettoia. Il più agguerrito degli attivisti è il professor Gennaro Barbato. Biologo con la passione smisurata per l’archeologia. E’ lui ad accompagnarci nel sito. Una passeggiata tra le “bombe vulcaniche” e i fiori di acacia, intervallata di tanto in tanto dai frutti dell’imbecillità umana. Tra il verde e gli strati lavici buste di immondizia contenenti scarti tessili, i residui di lavorazione dei tanti opifici del Vesuviano. Man mano però che ci addentriamo nella Cava Ranieri, dove fino a qualche decennio fa ancora si effettuavano le estrazioni, le discariche scompaiono e si entra in un’oasi incontaminata dove ancora vivono esemplari rari di rospi e serpenti. Un panorama a tratti lunare. E bisogna stare attenti anche a dove si mettono i piedi poiché si rischia di schiacciare cocci di ceramica rossa pompeiana oppure pezzi di pavimento affrescato. Arriviamo finalmente alla villa numero 1 ed è un pugno allo stomaco. I vecchi pali di legno, oramai trentennali e tarlati, sono caduti rovinosamente sulle pareti dell’abitazione rustica. La Soprintendenza deve necessariamente correre ai ripari. «La cosa molto grave – spiega il professor Gennaro Barbato – è che con il crollo della tettoia si sono rotti molti dolia e dobbiamo far sì che vengano subito recuperati perché non possiamo distruggere il nostro passato. Perché quello che sta lì sotto, se sapientemente valorizzato, può essere sviluppo e rappresentare opportunità di lavoro». L'articolo completo con tutte le interviste video su App News.
Rocco Fatibene