Eccellenze antipatiche: Pasquale Ferraro

Ecco raccontato, tra le righe, il mister che ha ha portato all'Eccellenza il Montesarchio

Montesarchio.  

 

Oltre alla stupidità umana e all'infinità dell'universo, di questo passo Einstein, buonanima, avrebbe dovuto inserire un terzo elemento tra le cose certe: Pasquale Ferraro che vince il campionato.
Sono sette, ad oggi, i titoli che ha vinto, e c'è roba da stropicciarsi gli occhi: il titolo regionale con la Ferrini, mai vinto prima di allora e dopo di allora nel Sannio, due campionati di Promozione e anche altro, oltre alle sette bellezze, che vale quanto una vittoria. Questa, senza dubbio alcuno però, è la più bella: non lo volevano a Montesarchio, e hanno provato a rendergli la vita impossibile.

Perché? E' antipatico Pasquale Ferraro, tanto, a chi non lo conosce... a chi non sbaglia mai perché non fa. Lui fa, sbaglia, poco, ma fa, e vince, tanto. Non è un aziendalista: «La squadra la faccio io» e le responsabilità se le prende lui, tutte. Per le società di oggi è un mezzo guaio: altrove è arrivato a scontrarsi per questo, se n'è andato pure, incredibilmente, lasciando un messaggio preciso: «Il pallone ha un prezzo, la mia dignità no», morale basso magari, testa inesorabilmente alta.

Alto com'è diventato il valore di tutte le cose su cui ha messo le mani: anche l'altra vittoria del Montesarchio, quella in prima categoria, ha il suo marchio di fabbrica. Il segreto è semplice: se i migliori musicisti, più che tecnica perfetta, hanno l'orecchio assoluto per le note, Ferraro ha la vista assoluta sui calciatori, meglio, sugli uomini.

Le squadre le fa lui, sa alla perfezione quale tassello si incastrerà meglio nel puzzle: sa prima se un giocatore fortissimo può dargli meno di un uomo con gli attributi, e viceversa. E una volta composto, quel mosaico diventa IL SUO mosaico, e sarebbe disposto a farsi ammazzare piuttosto che metterlo in discussione. Il risultato? Semplice, gruppi di ferro: una truppa di soldati interessati solo al sangue del nemico, e non a farsi guerre interne. Ecco spiegati in breve i sei campionati vinti prima di questo, il più bello. Non lo volevano, no: ha dovuto ingoiare rospi amari, si è alzato dalla panchina dopo ogni vittoria (perché ha praticamente sempre vinto), sentendo insulti, provocazioni dai suoi “tifosi”, da una parte di loro. Non si è mai nemmeno girato: ha tirato dritto, sigaretta in bocca, occhi che girano di 45 gradi, dal campo allo spogliatoio e via, andare.

E' antipatico per questo, Pasquale Ferraro: è schivo, non fa salamelecchi, non fa public relation per ingraziarsi qualcuno, non le manda a dire, mai. Si apre davvero solo in tre casi: in famiglia, con gli amici, i pochi, veri, che ha, e con i suoi giocatori. Con gli altri è antipatico, e forse fiero di esserlo. Su questi mattoni, duri, ruvidi, ma tremendamente solidi ha costruito la scalata più bella: ha scelto gli uomini, ha dettato le regole, comandamenti ferrei, si è seduto in panchina, ha vinto, ed è tornato nello spogliatoio. Niente gesti eclatanti, emozioni nascoste e raccontate solo nel chiuso del cerchio magico, niente orecchio agli insulti, e neanche occhio: aspettate, aspettate pure.

Ha risposto non rispondendo: prego gente ammirate, un campionato da record, una vittoria che mancava da diciotto anni, una marcia che solo Wagner, in note, avrebbe saputo descrivere... e ora parlate, di quello che volete, tanto lui, Pasquale Ferraro, l'antipatico, la testa non la gira, è troppo impegnato a tenerla alta.

di Cristiano Vella