Ballottaggi, un mercato. Gli elettori? Chi se ne frega...

Il teatrino surreale degli accorpamenti. La realtà grottesca dei partiti.

A Napoli come a Benevento di scena lo stesso anacronistico spettacolo. Peccato che chi vota ignora allegramente qualsiasi indicazione.

Benevento.  

 

di Luciano Trapanese

Vigilia di ballottaggi e tutti parlano di “apparentamenti”. Come se fosse la chiave per una vittoria, la ragione di una sconfitta. Un bla bla bla che conferma l'abissale distanza che separa i partiti dalla realtà. La classe politica dagli elettori. Immaginano tutti, i candidati e gli alleati di giornata, di riuscire ancora a orientare l'opinione pubblica. E con un semplice: votate questo o quello. O, come pure accade: non votate per nessuno. Un clic e sono convinti di dirottare migliaia di voti. Gli elettori visti come gregge da indirizzare. Ci vedono lì, davanti al seggio, in attesa che gli unti dal signore ci dicano cosa e per chi dare una preferenza.

Sarà stato vero un decennio fa, quando i partiti avevano strutture forti e un profondo radicamento sul territorio. Ma ora? Davvero credono di essere ancora in grado di smuovere le masse? Di dare una semplice indicazione e ottenere, d'amblè, una croce sulla scheda?

Se sì, stiamo messi molto peggio di quanto si immaginava. Con una classe dirigente che ha spento il cervello, e che definire autoreferenziale è poco. Siamo ben oltre l'autismo politico, c'è un completo, assoluto e a questo punto incolmabile distacco tra quello che è e quello che si immagina. Una considerazione che aumenta il nostro pessimismo. Se non si è in grado di comprendere che questo non è il Novecento, come e su quali basi possono credibilmente immaginare un futuro (che poi è il compito di chi fa politica e non solo degli autori di fantascienza).

E così a Napoli o Benevento, sono tutti lì, gli antichi alchimisti delle strategie di partito, a lambiccarsi quel che resta della corteccia cerebrale per studiare percentuali, stringere accordi sopra o sotto il banco, nella incomprensibile convinzione che questo, soprattutto questo, condurrà alla vittoria nei seggi.

Se tutto questo non è vero per le elezioni politiche, figurarsi con le amministrative, dove da un pezzo e soprattutto nel face to face, a vincere è il personaggio e non certo la sua appartenenza a questo o quel partito.

De Luca ha dominato per un ventennio a Salerno, e senza il Pd. De Magistris è stato eletto una volta e punta alla rielezione, sempre senza partiti. Eppure – ma che paradosso! - i partiti ritengono di contare ancora. Non guardano le loro sezioni vuote, i comizi senza gente, i congressi nei quali si tirano torte in faccia discutendo del nulla più cosmico.

Sanno solo ripetere, ad ogni piè sospinto, che è colpa dell'antipolitica o del populismo. Senza pensare neppure per un istante, che antipolitica e populismo sono i figli diretti del partitismo più sfrenato, quello che per decenni ha devastato il Paese nel nome e per conto della spartizione e delle clientele.

Non è solo colpa dei partiti, sia chiaro. E' anche il mondo che è cambiato. Irrimediabilmente e tanto. Ma questo non giustifica, anzi è l'ennesima aggravante: arroccati come sono nel loro eterno passato, non hanno la capacità di connettersi con il resto. Sono come vecchi computer senza internet. Scatole di plastica non comunicanti.

Domani è tempo di ballottaggi. Noi lo sappiamo, e anche voi: sceglierete chi vi dà fiducia, a prescindere da qualsiasi indicazione. E come al solito, gli strateghi dell'accordo, saranno costretti a ricalcolare numeri e percentuali, magari imprecando, perché gli elettori non hanno «capito il messaggio». E a proposito, la storia del «messaggio» è molto anni '70, e quindi in perfetta sintonia con la nostra vetusta (anche se giovane), classe dirigente.

Buon voto a tutti quelli che domani – se vogliono – voteranno.