Uno splendido ingegno, una mente agile, un uomo perbene. Valori che scompaiono di fronte alla madre di tutte le follie: la persecuzione per motivi razziali e discriminatori di genere. Quella che ha condotto all’eliminazione di migliaia di innocenti solo perché ritenuti diversi rispetto alla collettività. Perché gay, perché malati, perché neri. Ma soprattutto perché ebrei.
Può accadere così che un giorno, una mente fra le eccelse del nostro Novecento, rimanga vittima del crimine più grande. Che le sia sottratto tutto: vita, professione, affetti. E poco importa se questi si chiama Árpád Weisz, ed è il più grande allenatore europeo degli anni Trenta, ungherese d’origine, italiano d’adozione. Italiani brava gente, si diceva una volta, ma le leggi razziali, inderogabilmente, colpiscono anche qui.
Il “Magnifico Teatro” del “Magnifico Visbaal” ha scelto così di raccontare nel giorno della Liberazione, il 25 aprile 2015, a 70 anni da quel dì in cui l’esercito nazifascista si arrese e lasciò l'Italia dopo le insurrezioni partigiane, la parabola professionale, ma soprattutto umana dell’allenatore, dimenticato per oltre sessant’anni e solo da poco ricordato in un bel volume di Matteo Marani. E lo ha fatto nelle modalità scelte dalla Compagnia Mutamenti/Teatro Civico 14, che, un solo attore in scena, Roberto Solofria, su drammaturgia di Simone Caputo, Ilaria Delli Paoli e Rosario Lerro, ha raccontato la storia de “Il più grande”, ben incarnando la forza e le speranze di un’epoca.
Una narrazione che è proceduta per capitoli, ben evidenziati su una lavagna di ardesia, posta in fondo alla semplicissima e significativa scenografia, arredata di semplici supporti in ferro, e di volta in volta diversa, ad evidenziare le differenti tappe di un’esistenza incredibilmente limpida e lineare, a servizio del proprio lavoro e degli affetti familiari.
E’ ungherese Weisz, ma parla un italiano ricco e circostanziato. E’ stato valido giocatore, di quelli di una volta, con la maglia, i calzoncini lunghi e i calzettoni tenuti su con le molle. Poi un infortunio lo ha costretto ad arrendersi. Ma è in panchina che dà il meglio di sé, avendo a disposizione fior di atleti a cui insegna un gioco pulito ed efficace, vincendo, dunque, uno scudetto con l'Inter ad appena trentaquattro anni ed altri due con il Bologna.
I supporti in ferro della scena, visivamente rivestiti di magliette numerate, diventano i suoi giocatori, quelli ai quali affida la lotta per la vittoria, conquistando, infine, il titolo agognato. Scrive addirittura un manuale sul gioco del calcio, Weisz, ne diventa uno fra i massimi esperti in Europa.
Ma anche l’Italia sta cambiando, “ è ebreo”, recita implacabile lavagna di ardesia e le leggi razziali incombono. Arpad ed Ilona, sua moglie, con gli adorati figlioletti, sono costretti a scappare. “Le leggi antisemite sono uno stupro”, certo. Ma Arpad, in esilio, riuscirà ancora a resistere e ad allenare un’oscura squadra, quella di Dordrecht, nei Paesi Bassi, alla quale insegnerà, ancora una volta come si sta davvero su un campo di gioco.
E’ solo il preludio della fine. Moglie e figli, in seguito all'occupazione tedesca, saliranno su quel treno che li porterà alla morte in un campo di concentramento, e lui stesso terminerà il suo percorso pochi mesi dopo ad Auschwitz. Del resto non c’è più alcun motivo per resistere, visto che tutto gli è stato portato via. I supporti in ferro della scenografia si trasformano definitivamente in simboli colorati, rosa, neri, gialli, per identificare le diverse categorie di “esseri umani” internati. Agli ebrei tocca la stella gialla, appunto. Per ciascuno rimane un lumino acceso, a simboleggiare, di contro, quelle vite per sempre spente. Buio. Applausi. E tanta commozione.
Quella degli spettatori e quella di Peppe Fonzo,direttore artistico del Magnifico Visbaal che, prima della performance ha ricordato la figura dell’omonimo nonno, anch’egli martire per la libertà, e alla fine ha letto la lettera di un ventiquattrenne, condannato a morte, nel saluto estremo ai familiari, prima del patibolo… Resta la voglia di capire ancora perché tutto ciò sia accaduto e possa ancora incredibilmente accadere.
Maria Ricca