Qualche giorno fa ho incrociato un magistrato che non ha nascosto la sua preoccupazione. Non vorrei essere al posto dei colleghi di Palermo che devono giudicare il ministro Salvini, stanno subendo una pressione pazzesca, mi ha detto. Come dargli torto, succede quando una inchiesta ed un processo diventano oggetto di speculazione politica, di strumentalizzazioni a dir poco vergognose. Salvini è stato assolto e, per quel che mi riguarda, ammesso che valga qualcosa, sono contento per lui come per tutti coloro che vengono dichiarati innocenti. Lo sono, fino alla pronuncia definitiva di terzo grado, anche coloro che incappano in una condanna, ma quest'ultimo è un dato che non è purtroppo patrimonio comune.
E' la conseguenza del clima infame creato da decenni, dei riferimenti alle 'toghe rosse e nere', della ripetuta evocazione della ghigliottina in piazza che ha arricchito tanti personaggi del mondo dell'informazione e creato carriere per gente che non avrebbe potuto, e non può, concorrere neanche alla guida di un condominio. Fosse soltanto storia, si potrebbe stare più tranquilli, ed invece è attualità piena.
Si parla di legge Cartabia, privacy e diritto all' oblio soprattutto quando si tratta di imputati di un certo tipo, mentre se nei guai finisce un tizio qualunque si sprecano le urla. E un indagato per droga diventa spacciatore, o un assassino se si tratta di un omicidio, fioccano gli inviti a gettare la chiave della cella, gli appelli a pene esemplari, la soddisfazione nell'immaginare un detenuto che non respira.
Basta un'occhiata a certi programmi televisivi per assistere ad operazioni di mostrificazione: generalità e immagini a gogò, taglia e cuci di riprese e dichiarazioni ripetuti ossessivamente. Se poi l'uomo o la donna presi di mira hanno determinate caratteristiche: lo sguardo un po' torvo, un abbigliamento non comune, allora il gioco è fatto, e chissenefrega se non c'entrano nulla.
Tutto ciò mentre continua senza soste la compressione del diritto-dovere di cronaca. Tra leggi e circolari lo spazio è sempre più stretto, e per chi deve raccontare una inchiesta o un dibattimento è sempre più complicato. Un esempio? Basta farsi un giro al primo piano del Tribunale per scoprire che,a differenza di altre realtà, dinanzi alle aule nelle quali si svolgono decine di processi al giorno– collegiali o monocratici – sono affissi dei fogli sui quali sono riportati solo gli orari ed i numeri di ruolo degli stessi processi, senza i nomi degli imputati e le accuse loro contestate.
Come se l'amministrazione della giustizia fosse un affare 'privato' tra le parti e non una materia di cui l'opinione pubblica deve – ripeto, deve – essere correttamente messa a conoscenza. Le udienze sono pubbliche, è vero, ma chi può pensare che ne venga seguita una fino in fondo, trascurando le altre, per poi trovarsi, alla fine, senza una notizia che meriti la pubblicazione? Gli ostacoli sono evidenti, non li vede solo chi non vuol vedere.
Il silenzio è generale, è stato rotto qualche giorno fa dalla seconda visita nel giro di un anno del viceministro della Giustizia Sisto. Sono certo che, accompagnato dal parlamentare locale Rubano, avrà illustrato lo stato di avanzamento delle soluzioni ai problemi che erano stati esposti nel primo incontro, altrimenti...
La solita selva di microfoni e telecamere e, poi, un book fotografico spedito alle redazioni, casomai qualcuna di esse avesse toppato il cruciale appuntamento, dall'ufficio stampa di Forza Italia. Avanti così, ah dimenticavo: auguri a tutti.