Vuoi mettere il brivido corso lungo la schiena di tantissimi italiani, probabilmente, quando hanno ascoltato l'inno di Mameli o i cori dello stadio, che mancavano come l'aria, o l'emozione provata al momento dei gol della Nazionale nella gara di apertura dei campionati europei?
Una serata bellissima, guastata soltanto dall'enfasi retorica di chi è convinto che gridare ad un microfono serva ad aumentare il pathos del racconto, che per un paio d'ore ha allontanato, almeno per gli interessati alla partita, quel clima di paura nel quale siamo ripiombati dopo la morte della 18enne vaccinata con Astrazeneca.
Un dramma terribile che ha spazzato via i sogni di una ragazza, interrompendo bruscamente, complice anche l'assenza di una risposta autorevole ed univoca, le sensazioni positive che stavamo provando con l'avanzata della campagna vaccinale e la prospettiva di tornare ad una vita il più possibile normale. In un attimo il mondo è sembrato nuovamente crollarci addosso, schiacciandoci e ricacciandoci all'indietro.
Un'occasione formidabile per una parte dell'informazione che da alcuni mesi, affetta dalla sindrome del lutto inconsolabile tipica delle tifoserie, è impegnata a minare, pur facendo finta di mostrarsi equilibrata, le piccole certezze che stavamo coltivando. Quella meravigliosa foto di Camilla, 'sparata' ovunque, è stata un cazzotto in faccia, e in un attimo si è trasformata nello spunto per le consuete operazioni di sciacallaggio, alimentando prese di posizione incomprensibili e paradossali.
Perché, se si è organici a uno o più governi, non si va in tv per dire le cose che servono allo 'spettacolino' e farsi applaudire, ma si fa sentire il proprio peso al momento delle decisioni. E se si ritiene che quelle adottate siano sbagliate, non resta altro che lasciare l'incarico ricoperto. Anche il motto 'di lotta e di governo' è ormai tramontato, basta prenderne atto.
Devono farlo soprattutto i più giovani, coloro che un giorno saranno chiamati ad assumersi la responsabilità di diventare classe dirigente del nostro Paese. La speranza è che non prendano esempio dai grandi, che non perpetuino i comportamenti di quanti non hanno nulla da insegnare, che si lasceranno alle spalle l'eredità di un'Italia dilaniata da milioni di particolarismi, attraversata da piccole logiche di campanile, e che riesce a sentirsi comunità, e non tutta, solo se capitano disgrazie immani o se a calciare un pallone sono undici giovanotti che indossano la maglia azzurra.
Meglio sorvolare sul resto: appuntamento al prossimo match, nel frattempo auguriamoci che i nostri ragazzi vadano all'attacco e non si chiudano in difesa, arroccati a tutela dei privilegi dei loro genitori.