Me li ricordo, eccome, quei giorni di maggio di un anno fa. Giorni speciali, la fine del lockdown al quale eravamo stati costretti per due mesi sotto i colpi di un virus maledetto. Li avevamo trascorsi schiacciati dalla paura, dall'angoscia scatenata da un nemico di cui cercavamo di capire qualcosa attraverso le parole di chi aveva iniziato a studiarlo perchè non lo conosceva.
Due mesi impossibili da dimenticare, che hanno segnato profondamente ciascuno di noi, modificandone i comportamenti. Speravamo non fosse così, eravamo pronti a riprendere le vecchie abitudini, ma nella stragrande maggioranza lo abbiamo fatto in modo parziale.
Vero è che i successivi mesi estivi, accolti con un senso di liberazione senza precedenti, ci sono costati tantissimo in termini di vite, appesantendo ulteriormente un bilancio già drammatico, ma lo è altrettanto il dato del rispetto delle norme, anche se non da parte di tutti, pur in presenza di un alleggerimento del quadro iniziale dei divieti.
Pensavamo fosse passata, non era così, e lo abbiamo capito, purtroppo, da settembre in poi. Nonostante avessimo imparato ad usare la mascherina, a stare distanziati e a lavarci ripetutamente le mani.
Perché quel temibile microrganismo, agevolato nella sua diffusione dagli atteggiamenti individuali e dall'assenza di provvedimenti che avrebbero dovuto migliorare sensibilmente i trasporti, e nonostante una campagna vaccinale che, partita in ritardo, ora comincia a dispiegare i suoi effetti, non è sparito.
Ci avviamo a superare una battaglia, non una guerra con la quale dovremo fare i conti chissà per quanto tempo. E' passato un anno, come si fa ad ignorare coloro che non ce l'hanno fatta, i loro familiari devastati da un dolore che stride inevitabilmente con la prospettiva di un futuro un po' più sereno.
Dodici mesi fa sembravamo essere diventati davvero una comunità capace di battersi come un solo uomo, ma è stata solo una breve illusione. I canti e le iniziative di quelle settimane hanno lasciato il campo al solito repertorio impastato di egoismi ed individualismi. Era il terrore a fare da collante in quei frangenti e a farci sentire tutti più vicini. E' bastata la sensazione di averla sfangata per precipitarci nuovamente nelle solite divisioni.
E' diventato ancora più profondo il solco tra quanti chiedono protezione, avendone già abbastanza, e coloro che, senza disprezzare il valore dell'esistenza e la necessità di metterla al riparo, quella protezione non l'hanno mai avuta perché non garantiti come gli altri.
Aprite, chiudete, aprite a metà o chiudete a metà: eccolo il frasario che continuiamo ad ascoltare, recitato da chi, in nome di un interesse di partito, cerca di intestarsi questa o quella rivendicazione: entrambe, sia chiaro, legittime.
Un frastuono che rappresenta la colonna sonora di un anno vissuto con il cuore in gola, temendo per noi e per i nostri cari, soprattutto i più deboli e fragili. Il treno sembra essere ormai ripartito, sarà impossibile o quasi obbligarlo a nuove fermate. Nel frattempo, non facciamo finta di essere tornati imbattibili: non lo siamo mai stati, mai lo saremo.