Omicidio Nizza, ergastolo per Nicola Fallarino

La sentenza della Corte di assise per il delitto dell'aprile del 2009

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Benevento.  

Tra un mese – il 27 aprile – saranno trascorsi dodici anni dal momento in cui era stato ammazzato mentre, costretto sulla sedia a a rotelle per le conseguenze di un incidente stradale, si trovava in strada sotto la sua abitazione in via Bonazzi, al rione Libertà. Cosimo Nizza, 48 anni, di Benevento, era una vecchia conoscenza delle forze dell'ordine.

Quella mattina non aveva potuto fare nulla contro le due persone che, volto coperto da un casco integrale, ed in sella ad uno scooterone, gli erano arrivati alle spalle ed avevano fatto fuoco tre volte con una pistola calibro 7.65, centrandolo al capo, alla nuca ed al di sopra dell'orecchio destro.

Un delitto rimasto a lungo irrisolto, sul quale ora è arrivata la prima pronuncia. L'ha firmata pochi minuti fa la Corte di Assise (presidente Pezza, a latere Telaro più i giudici popolari), che ha condannato all'ergastolo Nicola Fallarino (avvocati Vincenzo Sguera e Domenico Dello Iacono), 37 anni, di Benevento, accusato di essere uno degli autori dell'omicidio.

La sentenza ha accolto le conclusioni del procuratore aggiunto Giovanni Conzo, che aveva proposto il carcere a vita (con isolamento diurno per 6 mesi) al termine di una lunga requisitoria nel corso della quale aveva ritenuto provata la responsabilità dell'imputato.

Attenzione puntata, in particolare, sulle affermazioni di due collaboratori di giustizia che avevano sostenuto di aver saputo dell'omicidio, in due diversi carceri, direttamente da Fallarino, e sul contenuto di una intercettazione ambientale che aveva 'rianimato' l'attività investigativa. Si tratta di una conversazione che la Squadra mobile aveva intercettato in un'inchiesta antidroga diretta dalla Dda.

A parlare in un'auto, il 4 febbraio del 2014, era stata una persona che ad un interlocutore aveva descritto in prima persona le fasi dell'agguato, come se “rappresentasse – sostengono gli inquirenti-, fedele nei termini, nei rumori e nei movimenti utilizzati” colui che, dopo averlo compiuto, glielo avrebbe raccontato. Non è così, facevo riferimento solo a ciò che si diceva in strada, al Rione Libertà, aveva spiegato due mesi fa, in aula, il protagonista di quella conversazione registrata.

La discussione – per quel che è stato possibile ricostruire visto il divieto di accesso alle aule - era poi proseguita con le arringhe dei difensori, che avevano rintuzzato le argomentazioni offerte dal rappresentante della pubblica accusa, sottolineando l'inattendibilità dei due pentiti e valorizzando la deposizione di un detenuto che aveva spiegato di averli sentiti mettersi d'accordo sulle cose da dire contro il loro assistito.

E ancora: la mancanza certa di un movente, la conferma, da parte dei testimoni, dell'alibi fornito da Fallarino. Che, a sua volta, sottoponendosi all'esame nella precedente udienza, si era professato innocente al di là di ogni dubbio. Perchè, questo il suo ragionamento, se davvero avesse confidato a due diversi collaboratori di giustizia di aver ucciso Nizza, sarebbe da rinchiudere.

Nicola Fallarino era stato arrestato il 5 marzo del 2019, mentre era già detenuto per droga dal luglio del 2018, dopo essere stato coinvolto nella già ricordata inchiesta della Dda – è stato condannato in primo grado a 20 anni, poi ridotti a 16 in appello - costellata da una serie di intercettazioni, alcune delle quali avevano consentito alla Mobile di riannodare i fili di una storia fino a quel momento senza sbocchi.

Uno sforzo corroborato, poi, dalle parole di un collaboratore, che aveva precisato di aver incrociato nel 2017 Fallarino, mentre entrambi erano rinchiusi nel carcere di Viterbo, che gli avrebbe detto, per accreditarsi ai suoi occhi, di aver stroncato l'esistenza di Nizza.

Lo stesso, durante un interrogatorio del settembre 2020, aveva poi indicato un ulteriore collaboratore che aveva dichiarato di aver conosciuto nel 2018, a Secondigliano, l'allora 34enne, che gli avrebbe parlato dell'omicidio. Il 24 aprile del 2020, in pieno lockdown, la prima delle nove udienze di un processo che si è chiuso oggi con la condanna di primo grado.

Alcuni familiari del 48enne, parti offese, sono stati rappresentati dall'avvocato Antonio Leone.