Repetita juvant.
Se i numeri hanno un peso, qualche indicazione su come andrà nelle urne tra pochi giorni gocciola libera dal groviglio di variabili e derivate.
La prima verità è che ad Avellino ci sono almeno novemila votanti (da non confondere con gli elettori che sono gli aventi diritto ma che spesso scelgono il mare alle urne) capaci di cambiare idea seguendo “la corrente”. Attenzione: non sono voti ballerini, ma martellati da una consistente determinazione: cambiare le cose, ribaltarle.
Vincenzo Ciampi, nel 2018, epoca elettorale geologicamente segnata da una diffusa ossessione grillina, vinse con 13mila 694 voti al primo turno, lasciando Nello Pizza (9.307 voti) all'esercizio dell'opposizione con l'arma dell'anatra zoppa. Ciampi sindaco con 5 consiglieri, Pizza a piedi ma con 17 consiglieri. Qualcuno di questi era costantemente attirato dalle sirene del governo diretto e le sceneggiate in consiglio comunale tutti le ricordiamo.
Annotiamo un dettaglio: Forza Italia e Lega, rispettivamente con due e un consigliere, già nel 2018 dimostravano di non toccare palla, vista la selezione della classe dirigente.
Cos'era il fenomeno Ciampi e di cosa erano nella realtà capaci i grillini la città lo ha capito nel giro di pochi mesi.
In un anno Avellino è tornata alle urne. Siamo nel 2019. I cinque stelle precipitano e lasciano sul terreno, al primo turno, 9813 voti. Ed è a questo pacchetto di votanti, quelli di cui prima determinati a cambiare scompaginando, cui tutti i partiti aspirano.
Il Partito Democratico schiera Luca Cipriano, che al primo turno migliora di mille voti la prestazione di Pizza, conquistando il ballottaggio con 10.483 voti.
Annotiamo quest'altra certezza: il Pd in città è il partito egemone e ha un immutabile serbatoio di 9.500 voti. Antonio Gengaro parte da qui. Annotiamo pure questo. Forza Italia e Lega, sempre sospinti dalla selezione della classe dirigente, perdono i già irrilevanti tre consiglieri dell'anno precedente.
Ma qui una domanda sorge spontanea. Come fece Cipriano, cinque anni fa, a perdere pur rappresentando il partito egemone e politicamente più ancorato?
Lasciamoci soccorrere dai numeri.
L'arci avversario, Gianluca Festa, al primo turno era stato battuto, di poco, ma sconfitto: si era fermato a 9.266 voti rispetto ai 10.483 di Cipriano. Vinse, l'uomo che sussurrava ai computer facendoli sparire, con 11.707 voti al secondo turno, a fronte degli 11.015 voti di Cipriano: 693 voti di differenza. Con un numero che aiuta a capire tutto: tra il primo e il secondo turno, perché non appassionati dalla sfida, restarono a casa o preferirono il mare, indovinate quanti? 9876 elettori. Gli ordossi del cambiamento che tra Cipriano e Festa non intravidero differenza.
De quo, i 693 voti con i quali Cipriano ha perso sono stati voti “politici”, consapevoli. Per dirla tutta, franchi tiratori. Il classico fuoco amico. E Avellino, se avesse scelto il candidato del Pd, adesso nello studio del sindaco avrebbe un computer in più. Ma ci saremmo persi, nell'ordine, i quattro dell'Ave Maria che nessuno appalto hanno mai perso a duello. Il grande capo che si chiudeva nello studio ovale a scrivere finte domande da rifilare a qualche inviso aspirante vigile urbano. E, chicca tra le chicche, l'assessore venuta dalla Puglia, la bella tutta pizza e mozzarelle, la vera star dell'esecutivo archiviato con imbarazzo giudiziario.
Conclusione simil matematica. Se tanto mi dà tanto, attribuendo ai 5 Stelle la conferma di almeno 2000 dei 3881 ottenuti nel 2019, e confermando al Pd e al campo largo lo zoccolo politico degli immutabili 9500 voti, Antonio Gengaro dovrebbe vincere al primo turno.
E i 9mila determinati a cambiare scompaginando? Beh, a questo giro, per voltare pagina bisogna tornare al passato.