Opa di D'Agostino sulla Provincia, Pd diviso e nell'angolo. Festa se la ride

Smentito il patto della cioccolata davanti ai "superdirigenti" nazionali dem

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Avellino.  

E' politica e sono voci. Nessuno ha firmato con il sangue e vale l'arte del poter sempre cambiare idea o smentire. Ma la notizia è troppo ghiotta perché non se ne sprechi qualche riga anche ad ora tarda: Angelo Antonio D'Agostino, neo sindaco di Montefalcione e teoricamente espressione del Partito democratico (le campagne di tesseramento gli costano sempre un occhio della testa) si candida a Presidente della Provincia. Lo sapevano pure le pietre che a tanto aspirava e per questo si era presentato alle comunali, per avere le carte in regola nella piacevole discesa a palazzo Caracciolo. Il patto numero due sarebbe stato siglato nel corso di una tribolatissaima riunione a Montefalcione in questi minuti: ne scriviamo alle 23 e 49.

D'Agostino avrebbe il sostegno di Italia Viva, i cui rappresentanti sul territorio non possono non assecondare la campagna anti dem sostenuta a livello nazionale dal leader Renzi. Per il consigliere Alaia, fin qui fedele alla linea politica dettata dal governatore De Luca, non dev'essere stata una scelta facile. Da presidente della Commissione regionale Sanità, ruolo espressione della maggioranza di palazzo Santa Lucia, lo strappo è di quelli pesanti.

Sembra la camera dei segreti di Harry Potter. Un nascondino pericoloso, fatti di specchi, promesse, tradimenti e qualche coltellata.

Il primo voltafaccia è proprio quello di D'Agostino, che appena qualche giorno fa a Roma (Direzione nazionale del Partito, non alla bocciofila di Valle) aveva siglato il patto d'acciato in nome e per conto del Pd: tutte le anime del partito, vecchie pellacce in verità, riunite intorno a un candidato unico, il sindaco di Montella Rino Rizieri Buonopane.

Un sì a petto gonfio davanti al rampollo di casa De Luca che credeva di aver portato a casa una "pace" non riuscita a due commissari del partito, l'ultimo dei quali nominato in gran fretta dopo lo scandalo del tesserificio farlocco diventato una vergogna nazionale. Presente anche Livio Petitto, che il Pd non aveva voluto candidare nella lista ufficiale del partito alle regionali. 

Insomma, un patto che accontentava tutti. Ma il sindaco Gianluca Festa ci ha messo lo zampino.

Forte dei suoi voti pesantissimi ad effetto del complicato meccanismo elettorale per la Provincia: un consigliere fedele della maggioranza di Avellino vale per un intero consiglio comunale di un paesino dell'Irpinia, Festa ha finto di aver dovuto cedere alle insistenze dell'uscente presidente Biancardi, che controlla e schiera, in quesata partita, anche tutto il centro destra.

Insomma, un ingorgo a croce uncinata. Qualcuno lo definirebbe un cetriolo, indigesto a chi, nel Partito democratico, riteneva chiusa la partita per palazzo Caracciolo. Un po' come quello che trasformò Paolo Foti in un incolpevole ortolano e rivelò l'Enze irpino come uno stratega da parrocchia, sbertucciato anche quando ha proposto il sindaco di Solofra al giro successivo.

Cosa accadrà adesso? D'Agostino dovrà farsi due conti e resistere alla reazione, che si prospetta violentissima, da parte delle vecchie pellacce del Pd. Anime logore e svendute più e più volte che di mollare la presa non hanno alcuna intenzione. 

Alaia, Festa, D'Agostino, Biancardi e qualche residuo demitiano avrebbero i numeri per farcela. Altro che redenzione.

Da domani si vedranno vedove inconsolabili cadere svenute. Duri e puri tenere posizione, ma non si sa mai per vero su quale fronte. E ognuno smentirà. E tutti diranno di aver ragione. In politica una sola cosa è vera: chi ha proiettili spara. Dei menestrelli a pagamento ne puoi schierare quanti vuoi. Poi a contare sono sempre gli interessi.