Il caso Cofferati in Liguria rimette in discussione anche in Campania l’attualità e la opportunità di ‘primarie non adeguatamente regolamentate’. Solo dopo aver perso da candidato, l’ex leader della Cgil ha puntato l’indice contro una consultazione che adesso vorrebbe venisse annullata. Giuste o sbagliate, le sue argomentazioni arrivano tardi, gli contestano diversi analisti, citando il caso delle elezioni presidenziali del 2001 negli Usa, quando il Democratico Gore rinunciò a detronizzare il Repubblicano Bush jr., nonostante l’errore di conteggio determinante per ribaltare l’esito reale del voto.
Pochi candidati ricordano che le primarie non sono una gara, ma una consultazione della volontà popolare, che va accettata nel suo esito. Contestando ‘a gazebo chiusi’ le infiltrazioni di elettori della Destra, Cofferati ha dato ragione a quelle perplessità sollevate prima delle consultazioni dal Ministro Guardasigilli Andrea Orlando, ma che da candidato ha preferito ignorare. L’eurodeputato, già sindaco di Bologna, conosceva il rischio di un possibile inquinamento della competizione, rilanciato da chi a Genova consigliava di non andare alla conta nel momento più difficile per la credibilità di ogni tipo di elezione, mentre la fuga dai seggi mina la tenuta democratica del Paese. Lo spettacolo dei veleni e delle contestazioni espone la democrazia italiana a rischi devastanti.
Abbandonando per orgoglio, Cofferati in Liguria ha anticipato un epilogo che potrebbe seguire, tra il 3 e il 7 febbraio, prossimi, le primarie in Campania, paventano autorevoli dirigenti e rappresentanti istituzionali. Carenza di regole e controlli, improvvisazione nell’allestimento di una organizzazione che si basa su un volontariato oggi più difficile da governare rispetto al passato, minano la credibilità della consultazione, messa in discussione da renziani e
riformista sotto il profilo dell’opportunità. Sono soprattutto due candidati su tre a imporle ad un gruppodirigente diviso in fazioni. De Luca e Cozzolino in queste ore hanno intensificato il proprio pressing mediatico (anche attraverso i social network), sostenuti da quella parte del ceto politico interno ai Dem, che aspira a riposizionarsi nella galassia politica regionale.
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