Il caso Irisbus all'Università del Sannio

La vertenza irpina nella tesi di Agostina Aiello

Avellino.  

La vertenza Irisbus arriva all'Università del Sannio. “L'azienda si impegna a concentrare nel Mezzogiorno le attività produttive specifiche di costruzione autobus, e a tal fine darà vita ad un'iniziativa industriale in cui saranno effettuate le lavorazioni per autotelai ed autobus. Le dimensioni dello stabilimento saranno pari a 3000 addetti, tale da consentire 6000-7000 autobus all'anno…”. E' l'incipit del terzo capitolo della tesi sulla "crisi ed il risanamento delle imprese" in "corporate governante" di Agostina Aiello che, nei giorni scorsi, si è laureata a Benevento con il massimo dei voti.

L'analisi del caso Irisbus affonda le radici nel 1974, quando la delibera Cipe annuncia il finanziamento dell'insediamento della Fiat in Valle Ufita. Una scelta forte e controversa, come confermato dal lungo braccio di ferro con Eboli, vinto anche grazie alla mediazione dell'allora Ministro dell'Industria Ciriaco De Mita. Un investimento figlio di un contesto nazionale decisamente più favorevole di quello attuale. Dal 1975 un'apposita legge dello Stato stanzia infatti un cospicuo fondo "per permettere a comuni, province e regioni, di incrementare e rinnovare il proprio parco automezzi".

"Prima duecento, poi mille operai, altri ancora e quindi l'indotto, le officine che si legavano alla catena produttiva con centro Flumeri, per articolarsi fino a Pianodardine e alla provincia di Napoli". Grandi numeri, anche se l'obiettivo iniziale dei 3000 posti non verrà mai centrato. "Gli anni '80 tradiscono, ben presto, le speranze riposte nello sviluppo dei mezzi di trasporto pubblico. Il periodo 1982-85 è caratterizzato da una gravissima crisi che, addirittura, nell'ottobre del 1985 mette in discussione la sopravvivenza stessa dello stabilimento. Nel 1984 - si legge - la produzione si assesta sul valore assai basso di 750 mezzi. Il fatto è che il crollo del prezzo del petrolio mette pesantemente in difficoltà l'intero settore di mezzi di trasporto pubblico".

Nel 1986 viene elaborato un ennesimo piano di ristrutturazione globale, destinato a concludersi nel 1990. "L'obiettivo strategico perseguito è dichiaratamente quello di trasformare la fabbrica, entro il 1990, in un centro di produzione di autobus completi, non solo di assemblaggio di carrozzerie". Ma la prima tegola, pesantissima, cade nel 1991, quando i dipendenti sono già scesi a 1.100. Il 25 aprile, festa della Liberazione, Fiat annuncia di voler procedere a prepensionamenti e mobilità per 490 dipendenti che dal giorno dopo mette in cassa integrazione.

Ottocento operai invadono l'autostrada: nella piazza di Grottaminarda si monta la Tenda della Resistenza, ancora oggi presente e teatro delle recenti proteste. La Aiello ricorda un'altra tappa importante nella storia dello stabilimento: "nel 1999 Iveco e Renault (con le società Heuliez e Karosa) decidono di unire le iniziative nei trasporti pubblici fondendo le rispettive attività e dando vita a Irisbus uno dei principali produttori nel settore trasporto pubblico".

In un paio danni i francesi lasciano a Fiat-Iveco il controllo e la gestione completa del gruppo. "Nel frattempo il parco autobus italiano invecchia: 51.400 mezzi in circolazione tra città, strade provinciali e regionali, con un'età media di 11 anni e mezzo. La media europea è di sette anni, in Francia un po' meno". Secondo il ministero dei trasporti solo per evitare un ulteriore invecchiamento e i conseguenti pericoli per la sicurezza dei viaggiatori e per l'ambiente, servirebbero 300 milioni di euro l'anno, l'acquisto di 3.000 nuovi autobus.

Nel 2008 a Torino viene presentato il Citelis, si tratta di un prodotto nato per essere commercializzato in tutta Europa e nel mondo, ma con una forte connotazione italiana. Nel 2009 arrivano altri importanti riconoscimenti, anche se dal 2010 tutto è destinato a cambiare. Negli anni precedenti lo stabilimento ha visto ridursi progressivamente i livelli occupazionali, ancora poco rispetto a quello che succederà con la firma di quello che Agostina indica come l'accordo della disperazione.

"Arrivano 8 milioni, ed ecco che tutti accettano i sacrifici: via 250 dipendenti, 135 con mobilità verso il licenziamento e altri 95 rimasti congelati; mezzora in più di lavoro, sessanta euro in meno in busta e turno unico. Campanelli d'allarme per quella che sarà la crisi del 2011". Vent'anni dopo la pesante crisi dei primi anni '90, il Lingotto decide non solo di chiudere l'esperienza, "ma di cessare del tutto la produzione di pullman sul territorio italiano". Le cause della crisi? "Sin dal momento del suo insediamento, esattamente dopo la delibera del Cipe del 3 maggio 1974, il Lingotto ha sempre fatto leva, nonché affidamento, sui contributi della cassa del Mezzogiorno. Basti pensare che il primo sostanzioso contributo, ammontava a circa 90 miliardi di vecchie lire".

I numeri degli aiuti pubblici sono fin troppo eloquenti: il primo finanziamento in conto capitale fu di lire 14.912.513.000, concesso ed erogato in base alla legge 183 del 1976, la quale disciplinava l'intervento straordinario nel Mezzogiorno per il quinquennio 1976-80. "A seguito del terremoto del 1980, furono concessi alla Fiat Iveco di Valle Ufita 9.834.500.000 lire, per la riparazione dei danni causati dal sisma". Ma sono le risorse statali per l'acquisto e la sostituzione dei mezzi di trasporto, nel corso degli ultimi 18 anni, ad aver subito una brusca frenata.

L'ultimo capitolo è dedicato al rilancio, nato al termine di una nuova stagione di lotta, una vertenza lunga 116 giorni. Nella tesi si racconta il lungo di braccio di ferro e le trattative infinite con potenziali acquirenti che, non di rado, si dissolvono come neve al sole. Sfumano, per motivi diversi, Di Risio, Giovanni Cottone ed una cordata cinese. Quando tutto sembra perso, prende piede l'asse con la Bredamenarini di Bologna, lo stabilimento gemello da tempo in difficoltà. Sarà questa la strada giusta, quella che porterà all'accordo con la King Long Italia di Stefano Del Rosso ed alla nascita di Industria Italiana Autobus. Una storia ancora in buona parte da scrivere. 

Marco Grasso