Landini ecco il segretario in felpa che scuoterà la Cgil

La sfida: Chi si definisce governo del cambiamento non sta cambiando un bel niente

Avellino.  

Una felpa rossa per scuotere la Cgil. Ha stupito tutti Maurizio Landini quando, appena eletto segretario generale della Cgil dall’assemblea, con il 92,7 per cento dei voti, poco dopo essere salito sul palco per il discorso finale ha detto: “Scusatemi, devo fare una cosa… seguitemi”. Landini si è diretto verso la platea dove era seduta Susanna Camusso, segretaria generale uscente, che aveva appoggiato la sua candidatura e poi l’abbraccio che ha scaldato la platea fino all’applauso. Il prima e il dopo. Il passaggio di testimone nel sindacato più antico d’Italia al decimo anno di crisi in una Italia in cui le vertenze rodono e corrodono un sistema al collasso. Lo hanno già chiamato il sindacalista in felpa, Landini. Ex leader Fiom, prima oppositore della Camusso e poi alleato è volto noto in tv, famoso proprio per quello felpe Fiom e la maglia della salute. Landini ha indossato solo una volta la cravatta (il colore era rosso) alla firma dell’accordo sul rilancio Whirpool a Palazzo Chigi.

E così la più antica organizzazione sindacale italiana con circa cinque milioni di iscritti, ha il suo nono leader che ha il volto della cosiddetta ala “dura” del sindacato. “E’ l’anima e pancia dei metalmeccanici” spiegano i referenti campani che fanno il punto sul da farsi in regione. Cinquantott’anni, originario di Castelnovo né Monti, in Emilia-Romagna, nell’appennino reggiano, madre casalinga e padre cantoniere ex partigiano, famiglia numerosa - è penultimo di cinque figli. A soli 16 anni è entrato in fabbrica.

A vent’anni si è iscritto al Pci e ha iniziato a fare attività sindacale.  Un curriculum in salita che attraversa gli anni difficili di battaglie. L’elezione di Maurizio Landini alla guida della Cgil è certamente un fatto di rilievo. Nella sua attività pluridecennale nel sindacato è stato scardinatore degli equilibri pregressi, con una capacità di dialogo e trattativa che ha saputo riunire, in complicate trattative, la tricplice.

Landini darà del filo da torcere al governo gialloverde, in primis perché è capace di comunicare tanto quanto ne sono capaci Di Maio e Salvini e proprio per questo potrebbe recuperare l’appeal, anche emozionale, del sindacato. In secondo luogo, Landini riporta il sindacato a essere soggetto popolare: i lavoratori lo amano. E nel suo discorso di elezione è stato netto nel giudizio sul governo: “Chi si definisce governo del cambiamento non sta cambiando un bel niente. La manovra è miope e recessiva. Non si cambia un paese contro e senza il mondo del lavoro”, ha detto.

Questo XVIII Congresso di Bari apre dunque una fase nuova, con equilibri difficili da mantenere e soprattutto con l’obiettivo di ricostruzione delle ragioni del sindacato. Il primo banco di prova è la manifestazione unitaria del 9 febbraio.