«Il nostro voto va rispettato. E quando dico il nostro voto, non mi riferisco a quello di partiti politici o elezioni di rinnovo di qualche amministrazione, parlo della scelta netta fatta per l'acqua pubblica». Si apre così la nota di Giuseppe Rubinaccio, esponente provinciale del MIR di Samorì. «Sono uno dei 27 milioni di italiani che ha scelto e chiesto al Governo di difendere un diritto sacrosanto: quello all'acqua pubblica. Era il 2011 e gli italiani votarono in massa: 27 milioni di cittadini alle urne. Come è andata a finire? Perché l’esito della consultazione referendaria non è mai stato ratificato da una legge nazionale e l’acqua è ancora affidata al mercato? E perché oggi gli squali delle aziende private puntano ad annettere le aziende pubbliche con il pretesto delle gare europee?», si chiede il giovane militante di Quindici. «Spero che i nostri amministratori si stiano ponendo queste domande, che l'allerta democratica non resti confinata, come sempre, all'iniziativa di associazioni e cittadini. Ma che stavolta anche le istituzioni facciano sentire la loro voce. Noi, certamente non faremo mancare la nostra, ad una battaglia prima di tutto di civiltà», aggiunge Rubinaccio che poi aggiunge: «I comuni possono e debbono fare la loro parte. Partendo dal presupposto che l'acqua è un bene primario inalienabile, anche i Comuni possono dare il loro contributo per indurre il Governo Regionale ed il Governo Nazionale a rispettare concretamente questo principio nella Legislazione. Tra le varie iniziative che i Comuni possono assumere vi è l'approvazione di un provvedimento di iniziativa popolare che ribadisce questi principi, inserendoli nel proprio Statuto, impegnando anche il Comune ad aderire al Coordinamento Nazionale "Enti Locali per l'Acqua Bene Comune e per la ripubblicizzazione del servizio idrico integrato". Abbiano, dunque, i sindaci, a partire da quelli della mia zona un sussulto di dignità per il loro territorio».
Redazione