L'Università di Padova ha coordinato il più grande studio internazionale sull'Insufficienza renale acuta (Aki), una delle complicanze più gravi in pazienti con cirrosi epatica, dal quale sono state evidenziate differenze significative nel modo in cui questa condizione viene trattata nel mondo. Lo studio, pubblicato su 'The Lancet Gastroenterology & Hepatology', ha analizzato questa patologia in oltre 3.800 pazienti ricoverati per cirrosi scompensata in 65 ospedali di 27 paesi, su cinque continenti. I risultati della ricerca potranno ora contribuire a migliorare le strategie di cura e ottimizzare la gestione clinica dei pazienti. Lo studio internazionale è stato coordinato dal prof. Salvatore Silvio Piano, del Dipartimento di Medicina dell'Università degli Studi di Padova e medico dell'Unità operativa di medicina interna ad indirizzo epatologico dell'Azienda Ospedale-Università di Padova. Il professore Piano è nato a San MIchele di Serino, dove vive la sua famiglia e dove in più occasioni ha ricevuto pubblici encomi al merito. "Un grande ricercatore, un orgoglio per tutti noi", commenta il vicesindaco Antonio Delle Grazie che spiega: presto potremo salutarlo e complimentarci con lui per l'ennesimo brillante risultato nel campo della ricerca medica". La notizia del nuovo importante risultato ottenuto dalla Università di Padova sotto la guida del professore Piano ha fatto il giro dei media.
"I pazienti con cirrosi scompensata - spiega l'esperto, il professore Piano - sono particolarmente vulnerabili all'Insufficienza renale acuta per le caratteristiche intrinseche di questa sindrome, caratterizzata da una ipovolemia efficace. Il flusso sanguigno verso i reni si riduce e il corpo attiva meccanismi di compensazione che possono peggiorare ulteriormente la funzione renale. Infezioni, sanguinamenti o un uso eccessivo di diuretici possono rapidamente scatenare un'AKI, con un impatto drammatico sulla prognosi". Con questo studio, il team di ricerca ha voluto fornire una visione globale dell'epidemiologia e della gestione dell'Aki nei pazienti con cirrosi. Le evidenze sono che l'AkiI è molto comune, il 38% dei pazienti ricoverati per complicanze della cirrosi infatti, ha presentato questa condizione. La forma più comune è quella secondaria ad ipovolemia, ovvero alla diminuzione del sangue che circola nell'organismo (59%), mentre la sindrome epato-renale, spesso considerata la principale causa, rappresenta solo il 17% dei casi. Per Piano questo è un dato importante "perché dimostra che per la maggior parte dei pazienti è sufficiente rimuovere i fattori scatenanti e ripristinare il volume plasmatico con la somministrazione di fluidi, prima di ricorrere a terapie più aggressive come i vasocostrittori". Inoltre lo studio ha mostrato grandi differenze regionali nella gestione dell'Aki, in modo particolare, l'utilizzo di terapie come l'albumina e la terlipressina ha presentato un'ampia variabilità tra le diverse regioni del mondo. Il trattamento, in sostanza, varia molto tra i diversi paesi, e questo può influenzare gli esiti per i pazienti. Comprendere queste differenze è fondamentale per migliorare la gestione della malattia e aumentare le probabilità di sopravvivenza. L'Aki risultava associata ad a un rischio elevato di mortalità: quasi un quarto dei pazienti con Aki (22,9%) è deceduto entro 28 giorni. Tra i parametri associati ad una migliore sopravvivenza è da segnalare una maggiore qualità e accessibilità alle cure nei centri coinvolti, valutato con l'indice di "copertura sanitaria universale" sviluppato dall'organizzazione mondiale della sanità.