La storia della Biblioteca “Capone” s’intride intimamente con le vicende civili, sociali, economiche e politiche dell’Irpinia moderna e contemporanea; ne custodisce le sue fonti, le sue vocazioni, le sue ragioni. In sostanza ne costituisce la sua Autobiografia.
Intere generazioni di giovani, dai ragazzi del Novantanove fino ai Millennials, hanno frequentato i suoi spazi e costruito tra i suoi scaffali il proprio avvenire e la propria formazione culturale, ideale e morale. Luogo di rigorose conoscenze e mirabile scuola di umanità, la “Capone” nel corso della sua storia ha adeguato il suo profilo e le sue finalità ai processi di trasformazione che hanno investito la società italiana. Inizialmente palestra di formazione delle élites locali, con il passare degli anni si è sempre più aperta ad un accesso inclusivo e democratico fino a rappresentare una cruciale leva di modernizzazione per il tempo del cambiamento e un illuminante modello di eguaglianza sociale e di libertà di pensiero.
La mostra documentaria Il giardino di Candido (Sala Penta, 19 dicembre 2024-1 marzo 2025), priva di qualsiasi ansia nostalgica o peggio ancora celebrativa, nasce dal convincimento che la Biblioteca possa continuare a svolgere un ruolo significativo anche nell’era di Google senza lasciarsi condannare a essere un nobile quanto polveroso deposito di libri rari o desueti trascurato dagli insaziabili navigatori del web e dei suoi motori di ricerca.
L’occasione di questa iniziativa è data dalla ricorrenza di un centenario. Domenica 10 agosto 1924, secondo un comunicato dell’Agenzia Stefani alla stampa, autorità politiche e religiose, studiosi e personaggi dell’Avellino borghese, celebravano nella Biblioteca provinciale, ospitata nella vecchia sede dell’Archivio di Stato, nei pressi del settecentesco Palazzo Caracciolo in Piazza della Libertà, sede dal 1809 del Tribunale, l’apertura al pubblico di rinnovate e nuove sale da affiancare a quelle dedicate ai Capone, a cui si era riservata sin dal ’13 l’Aula magna, a Francesco De Sanctis, tra i protagonisti indiscussi della modernità e della costruzione dei modelli culturali della nuova Italia, e ai suoi manoscritti (donati in gran parte dai nipoti Agnese e Carlo nel 1917), e, in seguito alla cerimonia del 1924, allo storico, giurista e funzionario borbonico Giuseppe Zigarelli, le cui collezioni possono ritenersi le radici originarie della Biblioteca provinciale e del Museo Irpino.
Zigarelli, nato ad Avellino nel 1811 da una famiglia di illustri giureconsulti, nel 1889, anno della sua morte, lasciò il Comune della sua città erede dei suoi libri e di una notevole raccolta di reperti archeologici, che confluirono qualche decennio dopo sia nella “Capone” che nel Museo irpino. Prima del passaggio alla Provincia la biblioteca Zigarelli, formata da ben seimila volumi, fu aperta al pubblico nel 1893 e sistemata all’ultimo piano di Palazzo De Peruta, sede del Municipio di Avellino.
La mattina del 10 agosto del ’24 alle ore 10 vi fu lo scoprimento di una lapide commemorativa dedicata ad Adele Solimene Capone (oggi conservata nella nuova sede della Biblioteca) e l’inaugurazione di 3 aule intitolate rispettivamente allo scrittore, bibliofilo, dantista e uomo politico repubblicano Carlo Del Balzo (1853-1908), personalità dal respiro europeo, autore, tra l’altro, dei 10 romanzi che formano il ciclo dei «Deviati» e di brillanti reportage su Parigi, Roma, Napoli, a Enrico Tozzoli, discendente da una solida famiglia latifondista borghese di Calitri, e a Nino Cocchia, giovane figlio prematuramente scomparso del celebre classicista Enrico, una delle grandi personalità della cultura accademica napoletana tra Otto e Novecento.
I circa ottomila volumi di Carlo Del Balzo, tanti dei quali elegantemente rilegati in cuoio marocchino di color rosso, e i manoscritti dei suoi romanzi ed articoli conservati nella casa natale di S. Martino Valle Caudina, furono donati alla “Capone” dalla figlia Anna nel 1923.
Tre intitolazioni derivate da altrettante donazioni di collezioni librarie che avevano notevolmente arricchito i fondi della Biblioteca intitolata a Scipione e Giulio Capone, aperta al pubblico venerdì 14 marzo 1913.
Va ricordato che della donazione Tozzoli, versata alla “Capone” nel 1919, facevano parte libri e carte del letterato, bibliografo e noto falsario pugliese Giovanni Bernardino Tafuri (1695-1760) e una ricchissima raccolta di giornali politici, satirici e letterari napoletani dell’Ottocento, di cui in mostra si espone una rappresentativa scelta antologica. Lo storico, filologo ed epigrafista Theodor Mommsen (1817-1903) ebbe modo di consultare e apprezzare più libri della Biblioteca Tafuri confluita nella Tozzoli durante uno dei suoi viaggi in Italia.
Nel 1910 Adele Solimene, vedova di Scipione Capone e mamma del letterato e glottologo Giulio, morto a soli 28 anni nel 1892, in qualche modo il Candido dell’ideale Giardino ora in mostra, realizzando un’idea avanzata già nel 1893, aveva donato la meravigliosa biblioteca di famiglia, costituita da oltre trentamila tra volumi e opuscoli, alla Provincia.
Tra quei libri figura anche l’unica copia superstite della prima edizione dei Raguagli della città di Avellino (1642) contenente l’Avellino sacra del frate conventuale Scipione Bellabona, nato ad Avellino nel 1603. L’opera fu condannata al bruciamento per l’ostilità della congregazione dei monaci di Montevergine. L’esemplare sopravvissuto alle fiamme, di cui ne porta le tracce, conservato per secoli nella biblioteca della nobile famiglia di origine spagnola dei Vargas Macciucca, fu acquistato da Scipione Capone e in seguito donato dalla vedova alla Biblioteca provinciale.
Con un valore decisamente simbolico Il giardino di Candido si apre proprio con l’esposizione di questa rarità bibliografica. Le idee e la cultura sopravvivono ad ogni violenza e resistono sempre alla cecità autoritaria del potere di ogni tempo.
Nel 1911 i libri dei Capone furono trasportati da Montella ad Avellino e sistemati nell’Archivio di Stato, collocato al tempo in locali alle spalle del palazzo di Giustizia, affidandone l’inventario e la cura all’archivista e bibliotecario Salvatore Pescatori (1881-1973), colui che fu l’artefice indiscusso della organizzazione di quel ricchissimo patrimonio librario nonché suo appassionato custode per lunghi decenni.
Incunaboli, preziosità dei secoli XVI, XVII e XVIII, trattati scientifici, classici della letteratura e del pensiero storico e filosofico, raffinati volumi di storia dell’arte, testi tecnici di agricoltura, formano una limpida sorgente di saperi e un’Isola del tesoro di straordinario interesse culturale, intellettuale e bibliografico.
Nell’estate del Ventiquattro - la terribile estate del delitto Matteotti -, si determinava quindi un progetto che aveva iniziato il suo percorso nel lontano 1868 quando si era pensato da parte dello Stato italiano di avviare, senza ottenere alcun risultato, la cessione della Biblioteca dell’abbazia di Montevergine alla Provincia.
I libri della “Capone”, dal 1967 ospitata nel Palazzo della Cultura di Corso Europa - alla sua inaugurazione intervenne il presidente della Repubblica Giuseppe Saragat -, al di là di inutili e retoriche pignolerie erudite, costituiscono oggi più di ieri la memoria e l’energia di una società vivente, impegnata ad affrontare le affascinanti e inquietanti incognite del futuro prossimo venturo.
La ricerca diventa un raffinato pretesto, una occasione per incontri fortuiti con Tempi sconosciuti, per dare un Senso umano al bisogno di ordine e di disordine che abita in noi, per avvertire il fascino della vera libertà riportando alla luce del giorno volumi sepolti dalla secolare notte della dimenticanza.
È il dono segreto, favoloso che posseggono le sue sale e i suoi sorprendenti fondi, che rigenerano il vecchio mondo in un infinito presente. In quei muri fatti di libri si desidera vivere dentro di loro e, citando Walter Benjamin, sparire là dentro "com'è giusto che sia".
Nel tempo di internet la Biblioteca, come lucidamente documenta lo studioso e intellettuale statunitense John Palfrey in BiblioTech: Why Libraries Matter More Than Ever in the Age of Google (2015), capace di adeguarsi alle tecnologie incalzanti nella lunga stagione del digitale conserva intatta la sua vitalità e le ragioni del suo continuare a esistere nella trasformazione.
La “Capone” non è destinata quindi a essere governata da cacciatori di topi o stanchi guardatori di libri come quella celebre di monsignor Boccamazza de Il fu Mattia Pascal, bensì a dialogare con le risorse oscure della tecnologia e l’avvento dell’intelligenza artificiale attraverso un razionale processo di modernizzazione, a dire il vero già in atto, pur lasciando ai suoi visitatori incantati il tepore ideale per poter coltivare il proprio giardino come il giovane protagonista del Candide ou l’optimisme di Voltaire.
L'autore è prof. ordinario di Letteratura italiana, Università degli studi di Cassino e del Lazio Meridionale