Nuovo Clan Partenio, le difese: "Solo teorie, la mafia creata dal nulla"

Oggi hanno discusso gli avvocati Dello Russo, Doria, Bizzarro, Del Vecchio e Letizia

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Avellino.  

 

 

di Paola Iandolo 

“La costituzione della società Ni.Re (finita al centro dell’inchiesta della Dda di Napoli) non ha portato ad un effettivo guadagno da parte del mio assistito, Renato Freda”. A sostenerlo nella sua arringa difensiva l’avvocato Patrizio Dello Russo. “Nessun valore è stato trasferito a tale società e, di conseguenza, non c'è stata un'intestazione fittizia oggettiva”. Il difensore va avanti e precisa “non ci sono elementi sufficienti per affermare con certezza che Renato Freda fosse a conoscenza delle intenzioni di Nicola Galdieri: “A che serviva schermare il patrimonio? Non ha senso! Stiamo parlando di due società che sono una miseria, sicuramente non sono e due società in odore di camorra”.

L’avvocato ha concluso la sua arringa chiedendo l’esclusione delle aggravanti, l’assoluzione perché il fatto non sussiste per alcuni capi d’imputazione e la non applicazione della recidiva. Ma quella di oggi è stata una lunga udienza nel corso della quale le difese hanno cercato in tutto i modi di smontare il castello accusatorio nei confronti degli imputati. Dello stesso avviso l'avvocato Fernando Letizia che difende insieme all’avvocato Dello Russo, Renato Freda. A suo avviso "gli organi inquirenti hanno impiegato tutti i mezzi a loro disposizione, soprattutto quelli tecnologici, per condurre un'indagine completa. Tuttavia, non è mai emersa alcuna prova dell'esistenza di un'associazione malavitosa. Nonostante le intercettazioni telefoniche e ambientali, una sorveglianza massiccia tramite telecamere e ogni altro mezzo possibile, l'unica accusa nei confronti di Renato Freda riguarda il suo ruolo di prestanome per società e il mantenimento di contatti con terzi. Ritengo che, per considerare Freda un affiliato e un partecipante alle attività del clan, siano necessari elementi inequivocabili; elementi che, nel corso della lunghissima indagine, sono certamente assenti".

Ma quella di oggi è stata una lunga udienza nel corso della quale le difese hanno cercato in tutto i modi di smontare il castello accusatorio nei confronti degli imputati.

 L’avvocato Raffele Doria, difensore di fiducia di Luigi De Simone ha evidenziato che la posizione del suo assistito all'interno dell'inchiesta “è stata completamente marginale. De Simone è l'unico imputato senza precedenti penali in questo processo e, nonostante ciò, il Pubblico Ministero ha chiesto una pena di 18 anni di reclusione". Inoltre ad avviso dell'avvocato Doria, come per altri suoi colleghi penalisti “non esistono i tipici reati associati alla criminalità organizzata, come estorsione aggravata dal metodo mafioso o violenza. Si tratta di fantasie, stiamo parlando di persone detenute in carcere nonostante non abbiano precedenti penali. Non c'è mai stato alcun contatto tra il mio assistito e gli altri imputati. Non ci sono prove di alcun tipo, eppure Luigi De Simone è ancora sottoposto a misure cautelari. Inoltre, l'imputato era in possesso di armi perché era un cacciatore regolarmente autorizzato”. L’avvocato Doria ha richiesto l’assoluzione perché il fatto contestato non sussiste.

“Sicuramente questa istruttoria dibattimentale ha fatto emergere delle discrepanze enormi con quelle che erano le risultanze investigative”. A sostenerlo l’avvocato Raffaele Bizzarro difensore di Diego Bocciero. L’avvocato Bizzarro ha sollevato dubbi sull'affidabilità delle intercettazioni telefoniche e delle registrazioni del GPS presentate come prove incriminanti; oltre che la presunta associazione al clan: “la presunzione investigativa è evidente. È del tutto carente, invece, l’associazione di Bocciero. L’usura, l’intimidazione, non risultano da nessuna parte. Il collegio dovrà prendere una decisione, ma dovrà farlo nell’assoluta certezza che il Pubblico Ministero abbia presentato delle prove concrete. Sicuramente, il reato associativo, non può basarsi soltanto sulle ipotesi del Pubblico Ministero. Il convincimento arbitrario delle proprie idee non dovrebbe mai essere presente all’interno di un processo”. Per l’imputato Carmine Valente, ha discusso anche il co-difensore Antonio Del Vecchio. Il penalista ha messo in discussione, anche in questo caso, la presenza stessa del reato di associazione a delinquere: "Non ci sono gli estremi per contestare questo reato, anzi, si è andato a scavare nella preistoria criminale del territorio. Il Pm ha affermato che il vecchio clan Genovese sarebbe stato "fagocitato" dai moderni presunti affiliati. La mia obiezione di fondo è che non sia stata dimostrata neanche minimamente la realtà associativa. Un'idea che va in contrasto addirittura con il concetto di associazione semplice. Appare evidente che gli elementi di prova, le notizie di reato, non garantiscono neanche la possibilità di costruire la cornice del reato di 416 bis".

 Si torna in aula il 27 giugno, quando la parola passerà nuovamente all’avvocato Getano Aufiero per gli imputati Carlo Dello Russo e Nicola Galdieri.