Dopo la condanna per i genitori di Aiello del Sabato, accusati di violenze e maltrattamenti ai danni di una delle figlie, questa mattina in Procura ad Avellino si è svolto l’incidente probatorio per un’altra figlia della coppia. La ragazzina è stata sentita per gli abusi sessuali subiti dalle altre due sorelle da parte di un fratello (attualmente in carcere). La minorenne ha smentito, dichiarando che le altre sorelle non hanno mai subito violenze.
Il pm Paola Galdo, al termine dell’esame, ha disposto una perizia psicopedagogica per la minorenne che attualmente si trova presso una casa famiglia.
Intanto, resta in piedi un altro aspetto della vicenda. Proprio in seguito alla sentenza di ieri per madre e padre, condannati rispettivamente a 14 e 12 anni di reclusione.
Sono stati trasmessi gli atti al pubblico ministero nei confronti dei servizi sociali del comune di Aiello del Sabato che dal 2008 fino allo scorso anno hanno redatto sempre relazioni positive. Il magistrato inquirente, dunque, potrebbe aprire un ulteriore fascicolo nei confronti dei servizi sociali, per accertare e appurare quanto è stato fatto nel corso di questi anni per la famiglia finita sotto accusa ad aprile dello scorso anno.
Ricordiamo le conclusioni della perizia psichiatrica
La madre M. G. era stata giudicata capace di intendere e di volere. Il padre G. D. A., invece era stata giudicato parzialmente capace di intendere e volere. Condizioni emerse dalla relazione del ctu Antonio Tomasetti richiesta dal gip del tribunale di Avellino, Francesca Spella, per stabilire se i due genitori di Aiello del Sabato - che lo scorso aprile furono denunciati con l’accusa di maltrattamenti nei confronti delle figlie e di aver sequestrato quella maggiore M.D.A. – erano in grado di affrontare il processo. La donna venne definita “sadica” dal ctu, “incapace di provare alcun tipo di rimorso”.
La ricostruzione della vicenda
La madre fu sottoposta alla misura cautelare in carcere, dove è tutt’ora rinchiusa, mentre per il padre scattò il divieto di avvicinamento alla casa famiglia e alle persone offese. La coppia accusata di aver maltrattamenti reiterati per anni nei confronti della 21enne M.D.A. Fin dall’età di 16anni anche per l’altra figlia F.D.A. iniziarono le vessazioni quotidiane con espressioni “schiava, serva” percuotendola a mani nude, tirandole i capelli, impedendole di frequentare la scuola e di trovare un lavoro, obbligandola a svolgere tutte le faccende domestiche e a badare i fratelli minori, ed impedendole di lavarsi. Ma il bersaglio preferito era M.D.A. che la madre quotidianamente, senza motivo alcuno, percuoteva con calci e pugni, talvolta anche con oggetti. In un’occasione con un cavo scart della televisione, sulla schiena, cagionandole delle lesioni. Inoltre la donna le impediva di mangiare i pasti a tavola, costringendola a mangiare da sola in piedi solo una volta al giorno. Diverse volte la ragazza avrebbe tentato di fuggire di casa, senza denunciare con la speranza che la situazione potesse migliorare. Una volta raggiunta la maggiore età la situazione è precipitata ulteriormente, in quanto veniva legata con delle catene ai polsi e alle caviglie del letto. La ragazza spesso veniva lasciata da sola, al buio, senza acqua e cibo, solo con un secchio per i suoi bisogni. Isolata non avrebbe avuto alcun modo di denunciare quanto subito per anni.
Le denunce della sorella
La sorella della vittima trovò il coraggio di denunciare tutto ai militari della locale stazione che, nell’aprile scorso, hanno messo la parola fine all’incubo della ragazza, dopo indagini serrate, svolte celermente e nel massimo riserbo. L’operazione dei carabinieri, fu portata a termine nella notte del 23 aprile e pose fine alle sofferenze patite dalla 21enne, ritrovata dai militari legata alla ringhiera delle scale dell’abitazione. Le indagini hanno poi permesso di ricostruire la triste storia di vessazioni, umiliazioni e maltrattamenti fisici messi in atto dalla madre – 47 anni – nei confronti della figlia. Per il padre, invece, l'accusa è di essere stato complice di tutto questo e di non essere intervenuto in difesa della figlia, colpevole di portare il nome di madre.