«In termini di energia liberata il sisma turco è stato 1.000 volte più forte rispetto di Amatrice 2016 e 30 volte più forte dell’Irpinia 1980». A dirlo attraverso un’intervista rilasciata al Mattino, Alessandro Amato, sismologo e responsabile del Centro Allerta Tsunami dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, già direttore del Centro Nazionale Terremoti, che ha analizzato il sisma di lunedì notte in Turchia che ha fatto scattare l’allarme tsunami sulle coste italiane, revocato dopo qualche ora.
Il terremoto è avvenuto in corrispondenza di una tripla giunzione tra le placche Anatolica, Arabica e Africana. E la scossa di magnitudo 7.8 ha spostato la placca Arabica di 3 metri lungo la faglia Est Anatolica arrivata probabilmente a deformare la costa.
«Abbiamo osservato anomalie nel livello del mare in tre punti tra Turchia e Cipro, che hanno fatto scattare l’allerta. Lo tsunami era di 15-20 centimetri registrato sulle coste turche, ma per quanto piccolo era il segno che qualcosa era in movimento e sarebbe potuto arrivare in Italia. Con i pochi dati a disposizione abbiamo fatto scattare cautelativamente l’allarme, rientrato dopo un paio d’ore».
«Occorrerebbe una rete di mareografi più consistente. Ci sono strumenti fuori uso sia a Cipro che in Turchia, altri sono rotti da tempo come in Libano e Israele, e a Ovest la situazione non è da meno, tutto il Nord Africa ne è privo. La visione limitata ci impone una cautela maggiore. Oltre ai mareografi occorrerebbero anche boe, e il nostro obiettivo grazie ai fondi Pnrr è di installarne nello Ionio. Il Catè giovane, siamo operativi dal 2017, ma in questi anni abbiamo eseguito circa 30 attivazioni di cui solo 4-5 hanno prodotto tsunami con danni come quelli a Samos e Creta nel 2020 o Kos e Bodrum nel 2017».