Aste ok, la parola alle vittime: "Non denunciai per paura"

Nuovi particolari emergono nella vicenda delle aste truccate che vede protagonista il Clan Partenio

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Avellino.  

Una nuova udienza per il processo nato dall'inchiesta "Aste ok" del Nucleo Investigativo dei Carabinieri di Avellino e il Nucleo Pef delle Fiamme Gialle di Napoli che hanno indagato su questo nuovo filone di illeciti che vede protagonista il Clan Partenio. Indagine che ha portato all'imputazione di 22 persone con l’accusa, a vario titolo, di associazione finalizzata alla turbativa delle aste fallimentari presso il Tribunale di Avellino, alla tentata estorsione e all’intestazione fittizia di beni.

Questa mattina, c'è stato il controesame da parte degli avvocati difensori del teste A. S., di cui alla scorsa udienza furono acquisiti i verbali di sommarie informazioni resi dall’uomo a febbraio del 2020.

L’uomo si occupò della gestione della trattativa con le società di Livia Forte e Armando Aprile che si erano aggiudicate all’incanto l’abitazione sita in via Carlo Marx a Sperone, di proprietà della famiglia della sua compagna.

“Mi venne chiesto aiuto economico per rientrare in possesso dell’abitazione e io accesi un mutuo di 100 mila euro, perché la casa costava 90 mila euro. Prima che firmassi l’atto però, mi chiesero altri 14 mila euro, per un valore totale di 104 mila euro. Ho dovuto accettare e accendere una cessione del quinto dello stipendio, non volevo che la mia compagna perdesse la casa”.

Successivamente è stata sentitaa l’ex compagna del primo testimone, G. P, figlia del proprietario dell’abitazione finita all’incanto.

“Quando ho saputo che l’immobile era stato aggiudicato all’asta mi sono informata in giro in paese per sapere chi ci fosse dietro le due società. Sono arrivata a mettermi in contatto con Modestino Forte, che mi portò alla pizzeria It’s Ok, dove incontrai Armando Aprile e Livia Forte.

Volevo riacquistare da loro l’immobile. L’asta si era chiusa a circa 55 mila euro. Loro mi chiesero inizialmente 150 mila euro per rientrare in possesso di casa mia, ma io rifiutai, non ero nelle possibilità economiche di poter sostenere quella spesa.

Allora ci accordammo per 90 mila euro, con la mediazione di un consulente finanziario. Successivamente iniziarono ad alzare il prezzo, dicendomi che il valore dell’abitazione si aggirava intorno ai 160 mila euro.

Ricevevo continuamente minacce da Livia Forte su WhatsApp. Mi disse di presentarmi un giovedì al ristorante, per accettare la proposta di 104 mila euro, altrimenti mi avrebbe mandato delle persone in casa per sfrattarmi.

All’epoca non feci nessuna denuncia per paura, non giravano belle voci su di loro”. Il terzo testimone è A. T., di Montoro. È venuta a riferire riguardo la minaccia da Mario Gisolfi, imputato per questo processo.

“Il complesso turistico Il Cigno, di proprietà dei miei genitori, andò all’asta. Prima dell’udienza però, qualcuno venne a citofonare a casa. Un uomo, conoscente di famiglia, mi viene a informare che qualcuno del circolo ricreativo “Las Vegas” voleva parlare con noi perché interessato all’immobile, noi ci rifiutammo, non volevamo parlare con nessuno”.

La prima asta andò deserta. Un giorno stavo pulendo la strada di fronte al complesso, passa un uomo in bicicletta – che poi ho riconosciuto fosse Mario Gisolfi, proprietario del circolo Las Vegas - che in velocità si rivolge a me dicendomi che avrebbe tagliato la testa a me e mio marito. Alla fine, Gisolfi è riuscito ad aggiudicarsi il bene all’asta”.

Dopo aver perso l’immobile, siamo rimasti là. Abbiamo però ricevuto una telefonata: State ancora là, ma ancora per poco. Poi mi hanno incendiato un canneto, mi hanno ucciso il cane”.

Per gli ultimi due testimoni, G. C. B. e L. C., vengono acquisiti i verbali di sommarie informazioni, salvo controesame della difesa.

Il primo, in sede di controesame, conferma quanto già dichiarato e aggiunge: “Volevo recuperare l’immobile perduto e finito in mano ai Forte ma loro mi chiedevano tantissimi soldi. Come si può acquistare un immobile a 70 mila euro per rivenderlo a più del doppio? Alla fine, ho deciso di sottostare alle loro assurde richieste e mi sono accordato per 150 mila euro. L’ho fatto per mia moglie”. 

E poi l'ultimo testimone, cognato di G. C. B., riferisce sulla stessa vicenda: "All'inizio dissero che per 10 mila euro non avrebbero partecipato all'asta. Si sarebbero anche impegnati a impedire che altri vi partecipassero. Se solo mio cognato avesse acconsentito a trattare con loro prima dell'aggiudicazione". Udienza rinviata al 22 luglio.