Da ieri mattina nel carcere di Bellizzi, il 40enne A.A. di Avellino, difeso dall’avvocato Costantino Sabatino, potrà chiarire la sua posizione domani, durante l’interrogatorio di garanzia. L’uomo, dipendente delle Poste di Avellino, è stato arrestato nell’ambito di una inchiesta su truffe per la compravendita on-line di auto di lusso, orologi di marchi di pregio come la Rolex e olio industriale condotta dai Carabinieri del Comando Provinciale di Genova e coordinata dalla Procura di Napoli che ha portato all’arresto di 59 persone in tutta Italia. Il 40enne, che presta servizio in un ufficio postale del capoluogo irpino, deve rispondere dei reati di associazione a delinquere, truffa, falso e accesso abusivo agli atti informatici. I fatti a lui contestati riguardano il periodo del 2018, quando prestava servizio presso l’ufficio postale di Mercato San Severino. Secondo l’accusa, avrebbe messo all’incasso titoli poi risultati falsi e, in base a quanto sostengono gli inquirenti, sarebbe stato a conoscenza dell’attività criminosa, fornendo un proprio contributo al sodalizio avendo accesso al sistema informatico.
La maxi-inchiesta ha interessato diverse province italiane e ha portato a 59 arresti, 46 in carcere e 13 ai domiciliari. Le indagini sono partite dalla com- pravendita di costose auto di grossa cilindrata, come suv e Audi “R8”. Alcuni indagati, fingendosi acquirenti, si facevano inviare via whatsapp dal venditore le immagini del libretto di circolazione della vettura in vendita che poi duplicavano. Con quelle foto pubblicavano anche loro un annuncio di vendita sul web e, una volta individuato l’acquirente giusto, lo costringevano a inviare una foto dell’assegno circolare a loro intestato con la cifra d’acconto concordata.
A questo punto veniva replicato l’assegno e incassato. La banda di truffatori aveva ramificazioni in Lombardia e Friuli Venezia Giulia e si avvaleva di quattro batterie operative. Nella seconda banda figurano anche dipendenti infedeli delle Poste Italiane, i quali, per gli inquirenti, attraverso indebiti accessi agli archivi informatici dell’azienda, fornivano i nomi di persone molto anziane o emigrate da tempo all’estero titolari di buoni fruttiferi in lunga giacenza o emittenti vaglia postali d’ingente valore. I buoni e i vaglia venivano clonati e incassati dai truffatori, con l’aiuto degli impiegati, utilizzando documenti falsi.