di Andrea Fantucchio e Simona Addivinola
«Mentre mio figlio mi minacciava, mia moglie mi puntava un coltello alla gola. Poi lui mi ha spinto e io ho battuto la testa contro un palo di ferro. Mi hanno messo sei punti. Ho detto ai medici di essere caduto da solo, avevo paura delle conseguenze». Appariva ancora molto provato, il 68enne di Sirignan, ascoltato ieri in aula nel processo per maltrattamenti in famiglia e rapina a carico del figlio e dell'ex moglie dell'uomo.
Il processo scaturisce da più episodi denunciati fra il 2016 e il 2017. La vittima, rappresentata dal penalista Fabio Tulimiero, e gli imputati, difesi dagli avvocati Ennio Napolillo e Claudio Frongillo, abitavano nella stessa casa al momento dei fatti contestati.
«Non mi facevano mangiare», questo ha ricordato la vittima in aula, che aveva poi raccontato alle forze dell'ordine di essersi rivolto a una casa per anziani del posto per essere accudito.
«Mi hanno costretto a consegnare il bancomat - ha ribadito-. Per ritirare dei soldi della mia pensione, io già pagavo l'affitto della casa. La mia era l'unica entrata della famiglia».
Dopo aver scoperto una denuncia dell'uomo ai carabinieri, questo ha aggiunto la vittima, lo avevano costretto a ritirare la querela. Ora il teste vive a Milano con una sorella.
A fine udienza i legali della difesa, anche alla luce degli anni passati dai fatti contestati, hanno chiesto al tribunale la revoca divieto di avvicinamento alla casa familiare. Una richiesta accolta poi dai giudici. Si torna in aula a maggio. Quando saranno ascoltati alcuni testimoni che potrebbero rivelarsi fondamentali per l'esito del processo. Sarà lasciato spazio alla difesa che proverà a smentire le ipotesi di reato formulate dall'accusa. E tenterà di dimostrare l'innocenza degli imputati.