di Siep
L'ennesima vittima del male oscuro. Un suicidio. Tentato. E tragicamente riuscito. La disperata corsa dei soccorsi. Inutile. Non ce l'ha fatta Alfredo Pagani, assistente capo di polizia penitenziaria di 42 anni, in servizio al Carcere minorile Casal del Marmo di Roma. L'uomo, conosciuto a Mercogliano, dove vive ancora la mamma, ha deciso di farla finita due giorni fa. Ha messo in atto il suo proposito disperato all'interno della struttura penitenziaria. Vani tutti i tentativi di rianimarlo e vana anche la corsa dell'ambulanza verso l'ospedale San Filippo Neri. Ignote le cause del gesto. Ieri mattina Alfredo ha cessato di vivere.
Maurizio Somma, segretario nazionale per il Lazio del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe lo ricorda così: “Alfredo, celibe, era assente dal servizio da diversi mesi per una patologia psicologica ma viveva in Caserma. Gli era stata ritirata la pistola, ma questo non ha impedito che mettesse in atto il tragico gesto. Si è infatti impiccato con una cinghia in bagno”.
Attonito Donato CAPECE, segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria SAPPE: “Sono davvero sgomento. Dall’inizio dell’anno sono stati ben 6 i poliziotti penitenziari che si sono tolti la vita. Dal 2000 ad oggi oltre cento sono stati i casi di suicidio nel Corpo di Polizia e dell’Amministrazione penitenziaria. Non sappiamo le ragioni del tragico gesto del collega. Certo è che è luogo comune pensare che lo stress lavorativo sia appannaggio solamente delle persone fragili e indifese: il fenomeno colpisce inevitabilmente anche quelle categorie di lavoratori che almeno nell’immaginario collettivo ne sarebbero esenti, ci riferiamo in modo particolare alle cosiddette “professioni di aiuto”, dove gli operatori sono costantemente esposti a situazioni stressogene alle quali ognuno di loro reagisce in base al ruolo ricoperto e alle specificità del gruppo di appartenenza. Il riferimento è, ad esempio, a tutti coloro che nell’ambito dell’Amministrazione di appartenenza spesso si ritrovano soli con i loro vissuti, demotivati e sottoposti ad innumerevoli rischi e ad occuparsi di vari stati di disagio familiare, di problemi sociali di infanzia maltrattata ovvero tutto quel mondo della marginalità che ha bisogno, soprattutto, di un aiuto immediato sulla strada per sopravvivere”.
“L’Amministrazione Penitenziaria e quella della Giustizia Minorile non possono continuare a tergiversare su questa drammatica realtà”, conclude Capece".