Le comunità ecclesiali rischiano l’autoreferenzialità e la chiusura

Monito del vescovo Sergio Melillo in occasione del convegno ecclesiale diocesano svoltosi ad Ariano

le comunita ecclesiali rischiano l autoreferenzialita e la chiusura

Le comunità ecclesiali «rischiano l’autoreferenzialità e la chiusura» o, peggio ancora, la creazione di “bolle”, di “comfort zone” al di fuori della realtà, dove solo pochi e, sempre gli stessi, ne fanno farne parte....

Ariano Irpino.  

Si è concluso con una solenne celebrazione nel Santuario Madonna di Fatima il 49esimo convegno ecclesiale diocesano per la diocesi di Ariano Irpino-Lacedonia, giunto al terzo anno del triennio pastorale eucaristico. A conclusione nel 2023 verrà celebrato il congresso eucaristico diocesano.

Un avvenimento che ha visto una folta partecipazione nelle quattro giornate. Da Lucca è giunto l'arcivescovo Paolo Giulietti. Presenti don Alessandro Amapani teologo pastoralista, don Paolo Vitali teologo dogmatico,Vincenzo Corrado direttore ufficio nazionale comunicazioni sociali Cei.

E' stato il vescovo Sergio Melillo a ripercorrere i temi utilizzati negli ultimi tre anni: "Nel primo, ci siamo messi in cammino coll’intendo di poterci scoprire e riscoprire in quanto Popolo di Dio; nel secondo ci siamo posti in ascolto della Parola e quest’anno - in totale clima sinodale - ci poniamo accoglienti nei
confronti di Cristo e del prossimo.

Il cammino fatto sinora non è stato semplice come se fosse governato dal principio fisico “dell’indeterminatezza” (una pandemia globale che ci ha colpito direttamente fra le mura domestiche; un conflitto internazionale che ancora oggi continua a mietere vittime e, non da ultimo, una crescita della
povertà che provoca maggiormente la diaspora dai nostri territori), ma certamente profetico: è come se questo nostro percorso ecclesiale fosse stato preparato da Dio per noi.

La pandemia - ha ricordato Melillo - ci ha fatto riscoprire l’importanza della chiesa domestica, della comunità ecclesiale, dell’Eucarestia; la guerra ci permette di ragionare sull’amore, sull’accoglienza dei nostri fratelli e delle nostre sorelle, come pure l’importanza della condivisione. In sostanza, stiamo facendo nuovamente esperienza di essere una comunità, tutti membri di una stessa famiglia, quella cristiana.

Gesù non è, però, a casa soltanto nelle nostre abitazioni, ma anche nelle nostre parrocchie, nelle nostre chiese. Papa Francesco ha rivolto a tutti noi l’invito a cercare casa abitando le nostre chiese - sempre più spesso deserte - : “La Chiesa è chiamata sempre ad essere una casa aperta… dove c’è posto per
ciascuno con la sua vita faticosa” ed avvicinarsi a tutti, a coloro che avvertono il bisogno di essere ascoltati «Un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via. Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra c’è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad
aspettarti». (Cesare Pavese, La luna e i falò)."

Tema del convegno: «Resta con noi Signore» (Lc 24,29). Per una Chiesa sinodale in cammino verso l’ospitalità.

"Ci ricorda Papa Francesco che :”La sinodalità esprime la natura della Chiesa, la sua forma, il suo stile, la sua missione”! La parola ospitalità, dal latino hospitalitas, vuol dire “accogliere” l’altro e considerarlo come uno di famiglia. Esso non è più uno straniero, un nemico dal quale difendersi, ma una mamma, un papà, un fratello, una sorella, un nonno, … un figlio. Se vogliamo, tutta la storia del cristianesimo, come quella
del Popolo d’Israele, ha come presupposto l’ospitalità.

Purtroppo questo presupposto, in una società fortemente globalizzata e mediaticamente influenzata come la nostra, rischia di svanire. Fra le cause, sottolinea Papa Francesco, «la mancanza di spazi di dialogo in famiglia, l’influsso dei mezzi di comunicazione, il soggettivismo relativista, il consumismo sfrenato che stimola il mercato, la mancanza di accompagnamento pastorale dei più poveri, l’assenza di un’accoglienza
cordiale nelle nostre istituzioni e la nostra difficoltà di ricreare l’adesione mistica della fede in uno scenario religioso plurale» (Papa Francesco, Evangelii Gaudium, 70).

Badiamo bene: questo accade anche nelle comunità della nostra parrocchia, nel gruppo catechistico …etc... Le comunità ecclesiali «rischiano l’autoreferenzialità e la chiusura» o, peggio ancora, la creazione di “bolle”, di “comfort zone” al di fuori della realtà, dove solo pochi e, sempre gli stessi, ne fanno farne parte.

Il cristianesimo - sottolinea Melillo - non è questo! Il Cristianesimo è inclusione, accoglienza, mettersi in pellegrinaggio con gli altri … a cominciare proprio da più deboli perché è lì che si manifesta Dio. Non possiamo vivere accendendo solo “fuochi” di nostalgia, questo è il tempo nel quale siano chiamati a vivere ed evangelizzare.

Ecco perché «per contrastare la sfida della frammentazione, a livello parrocchiale e diocesano, occorre investire nella costruzione di relazioni fraterne, valorizzando la pluralità delle sensibilità e provenienze come risorsa. In particolare, la testimonianza della carità è misura della capacità di aprirsi» 

L’accoglienza è perciò un cammino di conversione che accompagna e valorizza ciascuno di noi. L’accoglienza è uno stile di vita e, come ebbe da dire il ven. Giorgio La Pira - sindaco di Firenze negli anni ’50 -, occorre accogliere dapprima noi stessi, «la vita di Dio». Si! Perché Dio dona la vita a ciascuno di
noi: è nostro dovere perciò, come uomini e donne, prima che come cristiani, accoglierla.

Poi dobbiamo accogliere Dio a partire proprio dal dono dell’Eucarestia. Gesù entra nelle nostre case e si fa pane, lo spezza per noi e ce lo dona gratuitamente.

Che cosa bella e così fuori dal comune: Gesù viene nelle nostre case da ospite ma, facendosi pane e vino, pone noi stessi nella condizione di essere suoi ospiti. L’ospitalità è così un’attitudine dell’essere del Figlio di Dio, una sua postura, un modo di essere in relazione con gli altri. Quando celebriamo l’Eucarestia, ricordiamo che il Sangue di Cristo è versato “per te e per tutti”!

La carne e il sangue indicano chiaramente la vita di una persona: Gesù vuole nutrirci della relazione con lui. E se abbiamo fatto esperienza di come le relazioni possono cambiare la qualità della nostra vita, possiamo assaporare forse cosa significa vivere nella relazione con Gesù attraverso l’Eucaristia.

L’Eucaristia - diceva il Beato Novarese - è il cuore autentico di Gesù, perciò noi siamo chiamati parteciparvi al sacrificio dell’altare, «unendo alla Sua offerta sacrificale anche la materia del nostro sacrificio, i dolori, il lavoro, le preoccupazioni della vita…»

Accogliere Dio vuol dire accogliere il nostro prossimo con tutte le difficoltà e le differenze che segnano questi tempi.

«Tante - dice il documento della Cei - sono le differenze che oggi chiedono accoglienza: generazionali (i giovani che dicono di sentirsi giudicati, poco compresi, poco accolti per le loro idee e poco liberi di poterle esprimere, gli anziani da custodire e da valorizzare); generate da storie ferite (le persone separate, divorziate, vittime di scandali, carcerate); di genere (le donne e la loro valorizzazione nei processi decisionali) e orientamento sessuale; culturali (ad esempio, legate ai fenomeni migratori, interni e internazionali) e sociali (disuguaglianze, acuite dalla pandemia; disabilità ed emarginazione)». La nostra è una generazione che ha bisogno di “mistica” che non è alienazione o isolamento dalla vita, ma di preghiera, di esemplarità e, quindi, di coraggio, di una fede che contagia per attrazione…

Da ultimo - afferma Melillo - sappiamo tutti che questo è l’anno della famiglia … per cui vorrei concludere proprio con il modello dell’accoglienza: quello della famiglia.

La famiglia è il luogo in cui devo imparare a riconoscere e ad amare l’altro, per quanto diverso da me: non importa se l’altro sia ammalato, laureato, ricco o povero, grasso o magro: io lo amo, perché è mio figlio, mia madre, mio padre, mia moglie, … mio nonno. La famiglia è perciò una risorsa preziosissima che ci invita ad accogliere il diverso da sé.

È nella famiglia che all’odio si contrappone l’amore, un amore che cominciando dalla società coniugale tende ad una comunione universale. «Nessuno matura né raggiunge la propria pienezza isolandosi. Per sua stessa dinamica, l’amore esige una progressiva apertura, maggiore capacità di accogliere gli altri, in un’avventura mai finita che fa convergere tutte le periferie verso un pieno senso di reciproca appartenenza. Gesù ci ha detto: «Voi siete tutti fratelli» (Mt 23,8)» (Papa Francesco, Fratelli Tutti, 95). Coll’augurio di essere famiglie ecclesiali sempre più accoglienti, vi benedico e auguro a tutti noi buon cammino!