Figura tra i cittadini italiani che nell'ultimo conflitto mondiale furono deportati e internati nei lager nazisti, Rocco Antonio Spagnuolo, per tutti Antonio, nativo di Grottaminarda, venuto a mancare il 29 febbraio 1988. Ed è alla sua memoria e sacrificio che domani 27 gennaio 2022, giorno della memoria gli verrà assegnata una medaglia d'onore in Prefettura ad Avellino. A ritirare l'encomio sarà sua figlia Immacolata.
Correva il 9 settembre 1943. Trieste, dopo la firma dell'armistizio, soldati e ufficiali vennero posti davanti alla scelta di continuare a combattere nelle file dell'esercito tedesco o, in caso contrario, essere inviati in campi di detenzione in Germania. Solo il 10 per cento accettò l'arruolamento. Gli altri vennero considerati prigionieri di guerra e andarono a popolare i campi di concentramento e di lavoro nazisti.
Erano passate poche ore dall'annuncio che la guerra era finita. La barbarie sembrava avere avuto un epilogo. Non fu così. Alle 19.00 del 9 settembre 1943, Rocco Antonio Spagnuolo da Grottaminarda in provincia di Avellino, classe 1914, richiamato alle armi il 31.05.1941 per effetto della circolare n. 27700 del 13.11.1940, stava preparando i suoi effetti personali per tornare nella sua terra.
Un conterraneo lo riconobbe nella caserma di Trieste, dove si trovavano, e gli chiese di aspettarlo. Sarebbe stata una questione di pochi minuti, avrebbero potuto fare il viaggio di ritorno insieme. Ma quei minuti non furono pochi, diventarono anni fino a quando il 30 maggio 1945 Antonio fece ritorno a casa.
I tedeschi accerchiarono il comando stazione di Trieste e Antonio insieme a tanti altri fu deportato in Germania dalla stazione ferroviaria di Trieste. La calca, le voci stridule del nemico e furono “caricati” come tante bestie per un viaggio lungo ed estenuante che ebbe inizio in nottata, proprio sui carri bestiame, adibiti al trasporto dei prigionieri.
I momenti concitati della cattura lasciarono il passo al silenzio, rotto dalla paura, dall'angoscia e dallo stridore sulle rotaie.
L'arrivo in una nazione straniera in condizioni disumane fu ancora peggio. Il disagio di non conoscere la lingua rendeva tutto più difficile: la vita era messa a rischio ogni qualvolta si indugiava ad eseguire un ordine.
Antonio, quale prigioniero di guerra, fu internato in Germania nel campo n. VIII/A, lager Waldfrieden Friedland, di Waldenburg nella Bassa Slesia, in cui arrivò il 18.09.1943. I giorni passavano nel più cupo terrore, anche perché al mattino lo “spettacolo” che gli si presentava agli occhi era a dir poco allucinante: i corpi privi di vita degli ebrei giacevano lungo il reticolato che separava i campi.
Sarebbe dovuto restare lì fino al 24.10.1946, ma nel marzo del 1945, precisamente il 05.03.1945, il campo fu liberato dai russi.
Solo nel successivo mese di maggio, a fine maggio '45, dopo due mesi e mezzo di viaggio con mezzi di fortuna, Antonio, stremato, infestato di scabbia fece ritorno a casa, in una mattina di quasi estate. Le forze stavano per abbandonarlo. Quando arrivò sembrava quasi un'ombra, la magrezza era impressionante, aveva soltanto la luce negli occhi della ritrovata libertà, che dissolse almeno in quel momento il freddo dei due inverni vissuti nella neve, senza mangiare e rischiando di essere fucilato la notte, mentre di nascosto si andava a dissotterrare radici o bucce di patate.
L'assenza di libertà, la deportazione, le condizioni disumane e il sacrificio in cui Antonio e insieme a lui tanti altri hanno vissuto per rendere migliore il nostro paese. Un gesto che vuole essere un motivo in più per non dimenticare, per testimoniare, affinchè il freddo della morte dei diritti sia tenuto lontano dal calore della consapevolezza.