Sono 432 milioni di litri di acqua al giorno, pari a 157 miliardi di litri all’anno, che equivalgono a 18mila 448 miliardi di litri in 117 anni. Il fiume che dissangua l’Irpinia ha anche un prezzo. Quello di ritorno. Da queste terre, da Caposele, tutto viene ceduto gratis dal 1904, in nome di una esigenza idropotabile che non poteva essere negata: in Puglia la mancanza d’acqua mieteva fino a tre volte i morti per malattie infettive. I loro figli non potevano essere più sfortunati degli irpini e nessuno fiatò.
Da allora, avendone a decine di sorgenti sparse ovunque, e distribuendo acqua anche alla Napoli del caffè perfetto grazie alla sorgente della Tornola, che dal Terminio arriva nei rubinetti del rione Sanità, Avellino ha lasciato che lo sfruttamento delle risorse continuasse indisturbato. Continuasse e continuasse. I numeri di Caposele sono impressionanti.
Se si considera che un metro cubo d’acqua l’Acquedotto Pugliese (una spa con bilanci sempre in attivo) lo cede a 54 centesimi, si arriva a 85 milioni di euro all’anno di materia prima ricevuta gratis e poi trasformatasi in opportunità, moltiplicate per 117, a esclusivo beneficio della Puglia: agricola, casearia, industriale. Opportunità mancate, non ristori dovuti. Perché è giusto pensare che l’acqua sia di tutti. Ma è altrettanto sacrosanto che la politica si occupi di bilanciare ciò che un territorio cede e quello che un altro ottiene, trasformandolo in business.
Lo sfratto degli abitanti
L’Acquedotto Pugliese, in virtù della gestione esclusiva sulla sorgente della Sanità (5mila litri di acqua al secondo) è diventato “proprietario” dei terreni circostanti, trasformati in limiti invalicabili, come caserme militari per consentire un adeguato e corretto utilizzo dell’impiantistica a supporto dell’emungimento.
Una cosa concreta per capire cosa ha significato regalare acqua alla Puglia per Caposele?
Tutto l’abitato che insisteva sulle sorgenti è stato sigillato e sgomberato. Pure la Chiesa della Sanità è stata presa, smontata e trasferita più a valle di trecento metri. Solo il campanile, per gli assurdi calcoli fatti all’epoca riguardo l’area da mettere “in sicurezza”, si è salvato. Per pochi metri. Così che adesso la Chiesa è in una parte e il campanile (detto proprio il campanile delle sorgenti) da un’altra, dove tutta l’economia di Caposele si era sviluppata nel corso di millenni. Tessuto produttivo, manco a dirlo, che si è dissolto nel giro di qualche anno. Quella ferita non s’è rimarginata. La gente di Caposele ancora adesso non può vivere, camminare, dove i nonni, non chissà quali lontani arcavoli, avevano giocato, lavorato, amato.
La legge che penalizza l'Irpinia
Quella dell’acqua è la madre di tutte le battaglie che l’Irpinia non ha mai combattuto e che ha perso. Quella per l’acqua dovrebbe richiamare intere schiere di generazioni che non sono state messe in grado di avere le stesse opportunità, fino alla beffa più che doppia di regalare acqua e doverla pagare più di un pugliese. Già, perché i “ragionieri” che hanno scritto la legge che norma i prezzi al consumo hanno badato al pareggio di bilancio non al territorio. In pratica l’acqua si paga in concorrenza della spesa di tenuta e gestione degli impianti. In Puglia, dove arriva gratis, pianeggiante, basta un tubo. L’Irpinia, dai cui monti nasce l’acqua che disseta decine di milioni di persone, ha bisogno di impianti di sollevamento, canalizzazioni, infrastrutture complessissime, con costi elevatissimi. Ecco servita la beffa nelle bollette delle famiglie irpine.
La politica dei nani
E qui torna la miopia della politica e della classe dirigente che in questi cinquant’anni ha governato, non solo il Mezzogiorno: De Mita, Mancino, Gargani, Bianco, De Vito si sono rivelati dei nani ottusi riguardo la gestione delle enormi risorse idriche dell’Irpinia. Avevano in mano le leve per cambiare il corso delle cose e non hanno mosso un dito. Semplicemente perché non hanno compreso il problema, non ci sono arrivati.
La Pavoncelli e il bluff dei danni
Ora? L’inganno continua. A più alti livelli. Adesso l’acqua è puro affare. Basta guardare alla Pavoncelli bis, il cantiere più grande d’Europa, secondo solo alla Tav come priorità in Italia, e alle sue vere motivazioni. Dopo il terremoto dell’80 da qualche tecnico venne l’allarme. La galleria Pavoncelli, il budello che fisicamente prende l’acqua della sorgente Sanità (autorizzati fino a 4000 litri al secondo) e la trasferisce in Puglia, aveva subito dei danni. Danni ritenuti “irreparabili” 41 anni fa. I miliardi piovuti per fare un’altra galleria, la Pavoncelli bis, appunto, capace di drenare fino a tre volte gli attuali quantitativi di acqua, non rispondono a un’emergenza, agli asseriti danni del terremoto, visto che dopo 41 anni tutto funziona, ma a una necessità industriale: prendere 85 milioni di euro di materia prima gratis all’anno e trasformarli in 240 milioni all’anno. Ovviamente parliamo di materia prima, che poi sul mercato (venduta a famiglie e aziende) raddoppia il proprio valore.
Le mancate opportunità
E Caposele? Dopo 117 anni è riuscita ad avere nella piazza del paese un fontanino pubblico, che allaccia direttamente le acque della sorgente della Sanità. Dopo 117 anni la gente è riuscita a bere l’acqua dei propri bisnonni. Tutto qui.
La Pavoncelli bis, mega cantiere adesso fermo in attesa di un accordo di programma tra Regione Campania, Regione Puglia e Ministero delle Infrastrutture, praticamente è finita. Pronta a fare quello per cui è nata: ingoiare quanta più acqua possibile. Così che a Caposele, tra cinquant’anni, i bambini non sapranno neanche che tra le loro montagne nasceva un fiume e c’erano cascate immense d’acqua fresca e purissima.