“Quando abbiamo imboccato in auto la galleria di Montaperto e ho visto la luce in fondo al tunnel e poi quel cartello che indicava lo svincolo Solofra, ho capito che ero salva, avevo sconfitto il Coronavirus, e che finalmente la mia tragedia era finita”.
Angela Lettieri cittadina di Solofra racconta la sua lotta contro il Covid-19. Una battaglia, la sua, contro il Coronavirus e l’emozione grande di aver trascorso la Pasqua a casa e poter raccontare cosa significhi contrarre un virus subdolo, feroce e in alcuni casi letale.
“Tutto è iniziato lo scorso 11 marzo - spiega Angela, con la voce rotta dall’emozione quando con la mente fa un salto indietro nel tempo a ricordare l’inizio del suo personale calvario -. Io sapevo di essere una persona a rischio. Ho una malattia cronica ai polmoni e sapevo di aver avuto contatti con una persona positiva. E’ iniziata la paura, grande. Iniziò a mancarmi l’aria. Quando vivi la dispnea ti sembra di morire. Ti manca il fiato e, credetemi, questo è l’aspetto peggiore dell’ammalarsi di coronavirus”.
Angela nei primi giorni della malattia non aveva la febbre. Poi iniziarono i giorni più difficili tra tosse, la dispnea che si faceva più forte e la temperatura che iniziava a salute.
“Chiamai i medico che subito mi impose di allenare il 118 - spiega -. Il giorno dopo ero ricoverata in ospedale. Il pensiero più doloroso che mi ha afflitto è stato quello di aver rischiato di contagiare le persone a me più care. Il secondo pensiero peggiore? Che mi sarei aggravata, che rischiavo di aver bisogno di un ricovero in terapia intensiva e che, per quello che si sentiva, si poteva vivere anche il rischio concreto di non avere un posto nel reparto salvavita. Tutto vissuto con quella fame d’aria che è terribile, che ogni volta ti spaventa e ti fa capire che rischi la vita”.
Nella sua lunga degenza Angela ha conosciuto i sanitari che le sono stati sempre accanto. “Non smetterò mai di ringraziare quelle persone che mi hanno assistito con immensa umanità. Li guardavo fisso negli occhi. Cercavo di capire quali fossero i lineamenti dei loro volti, e li vedevo sudare sotto quelle maschere, calzari, tute. Arrivavano tutti bardati, goffi sudati ma non mi hanno mai negato un sorriso. Sono stata ricoverata in tre reparti e voglio ringraziare medici, infermieri, addetti di ogni corsia: Medicina d’Urgenza, Neurochirurgia e Unità Fegato. Ci tengo a dire grazie alla mia gente, al mio paese, Solofra e al mio sindaco Michele Vignola che mi ha sempre chiamata. La cosa più importate, e lo dico da ex malata Covid, è non sentirsi soli. Vivere l’isolamento nel ricovero è un momento di grande paura per chiunque. Non dimenticherò mai quando ho visto pazienti non farcela. Mi è capitato due volte di vedere sfilare sulle barelle chiusi nei sacchi i corpi di chi purtroppo non ce l’ha fatta. Una cosa atroce. L’equilibrio nel reparto cambiava. I sanitari stessi vivevano momenti di grande sconforto. In quegli stessi reparti ci sono stati gli applausi per chi ha sconfitto il Covid, ma anche il dolore nel veder chi, tragicamente, la sua guerra l’ha persa. Ho pregato ogni momento perché tutto finisse ringrazio Dio per aver sconfitto il virus ed essere potuta tornare a casa”.