di Rossella Strianese
Quand'è che la Verde Irpinia si è inquinata? Stando all'ultimo rapporto Mal'aria di Legambiente Avellino è tra le città più avvelenate d'Italia. Ma quando è accaduto esattamente e perché? C'è un punto di origine del male, dove è avvenuta la mutazione del genoma di questo territorio, di questa città, e quel posto si chiama Pianodardine. È lì che si è generata la malattia, almeno tre decenni fa a pochi chilometri dal capoluogo: la Valle del Sabato.
L'amianto dell'Isochimica, il devastante rogo della Irm, le ecoballe dello Stir e i dubbi sulla Novolegno, le emissioni della zona industriale. Per anni in tanti hanno ritenuto che le polveri sottili e altri veleni fossero un problema limitato al rione Ferrovia e ai comuni della Valle. Che si potesse contenere, circoscrivere il problema. Non avevano fatto i conti con la particolare orografia dell’area dove è insediata la città. Una conca circondata da colline che favorisce l’inevitabile accumulo di fumi e gas inquinanti.
Il risultato certo, inconfutabile, è che le polveri sottili nella nostra aria sono il doppio di quelle consigliate dall’Organizzazione mondiale della Sanità come limite soglia sopportabile per la salute.
Ma era impossibile non vedere, non sentire, non capire cosa stava accadendo. Già negli anni '80, quando si interravano alla meglio quintali di amianto nel rione Ferrovia, a pochi metri da case e scuole.
E ancora 14 anni anni fa quando il fuoco che avvolse la Irm di Manocalzati mandò in fumo 7800 tonnellate di rifiuti solidi urbani. Un incendio tanto vasto che le operazioni di spegnimento durarono dieci giorni e che costrinse molte famiglie a lasciare le proprie abitazioni. Le stesse famiglie che si sono costituite parte civile durante il processo. Secondo la Magistratura, nel deposito giacevano il doppio dei rifiuti consentiti. Dopo il rogo, la Provincia di Avellino condusse un primo monitoraggio ambientale che tracciò una situazione di inquinamento diffuso.
E’ stato da quel giorno, dai controlli che scattarono inevitabili, che i riflettori si sono accesi sulla Valle della Morte. Le analisi sono state impietose, per l’acqua, la terra e l’aria. Eppure, quei numeri, certificati da enti come Arpac e Asl, non hanno mai avuto valore. Ci sono numeri più “pesanti” che contano di più, sono quelli dei posti di lavoro. E, diciamolo, dei voti.
In un sud arretrato e dissanguato da crisi economica e recessione, in un'area profondamente depressa e sempre più spopolata come quella di Avellino, se arriva qualcuno che mostra interesse ad aprire nuovi insediamenti produttivi (incentivati e agevolati dallo Stato) non si fa tanto caso al “tipo” di attività che si vuole insediare. Va bene tutto. Anche una fonderia di piombo e altri metalli. Vanno bene i rifuti, le ecoballe, i forni crematori.
E così nel mentre l'Asi discute e approva il suo piano regolatore, con i suoi tempi, non c'è nessuno che si preoccupa di valutare l'impatto ambientale di certe attività, la loro ecosostenibilità. E in questo vuoto c'è chi arriva, sfrutta fino all'ultima goccia di sangue le risorse di questo territorio, e poi se ne va quando non c'è più niente da depredare lasciando dietro di sé centinaia di disoccupati senza futuro, vertenze impossibili, tavoli che si aprono e non si chiudono mai.
Risultato: una gerra fratricida, l'ennesimo scontro tra poveri, tra chi ha perso il lavoro e chi ha perso una persona cara che si è ammalata di tumore. Ma il lavoro e la salute non sono incompatibili.
La Regione per anni ha scrollato le spalle. E per decenni le amministrazioni comunali di Avellino e dei comuni vicini hanno preferito rinviare qualsiasi decisione strutturale.
Ora la situazione è diventata così insostenibile che ad Avellino sarà inevitabile bloccare e per mesi la circolazione delle auto. Un provvedimento, oltretutto, che incide ben poco sulla percentuale di PM10 presente nell’aria. I problemi risiedono altrove. Su uno si può intervenire, provando a riconvertire le aziende più inquinanti di Pianodardine. Sulla conformazione orografica del territorio che non smaltisce i fumi e lo smog si può fare ben poco. E quindi una svolta ecologista sembra inevitabile per il futuro della città. I candidati alle prossime amministrative la ritengano un'occasione, un'opportunità. E giacché siamo sotto elezioni, qualcuno ci dica pure che fine ha fatto la metropolitana leggera. Ma questa è un'altra storia. O forse no.