Pietro Mennea: il ricordo di un campione e il suo legame con Salerno

Dieci anni senza "la Freccia del Sud": una vita consacrata allo sport e al rigore morale

pietro mennea il ricordo di un campione e il suo legame con salerno

Il 21 marzo di dieci anni fa ci lasciava, all’età di 60 anni, un atleta che ha rappresentato e rappresenta la storia sportiva italiana. Un grande esempio di talento e tenacia.

Salerno.  

A scandire la vita di Pietro Paolo Mennea non furono mai i minuti di un orologio ma la frenetica lancetta di un cronometro. Cresciuto a pane e velocità, Mennea si avvicina alla corsa a 16 anni, venendo tesserato dall'Avis Barletta e seguito dal prof. Franco Mascolo. Da quel momento il destino del grande campione fu segnato. L’incontro con Carlo Vittori e l’inizio del loro indissolubile legame furono gli ingredienti finali della ricetta che sfornò la Freccia del Sud.

Una storia fatta di dedizione e costanza, di allenamenti durissimi e sacrifici, di tanta voglia di vincere. Mennea era uno incazzato. Uno che lavorava duro perchè voleva arrivare al prossimo traguardo... E poi a quello successivo, e poi ancora uno.

Il 21 marzo di dieci anni fa ci lasciava, all’età di 60 anni, un campione. Un esempio ed un idolo dell’atletica leggera, uno sportivo pulito. A portarlo via fu, per un brutto scherzo del destino, un tumore al pancreas che lo consumò troppo velocemente, tre mesi prima del suo 61esimo compleanno.

Una vita consacrata allo sport e al rigore morale

Una vita costellata di successi dove il suo habitat naturale fu la pista. Lui, che sul rettilineo macinava avversari, leggenda vuole che sui 50 metri sapesse essere più veloce di un’Alfa o, addirittura, di una Porsche. 

Cinque Olimpiadi, dal ' 72 all' 88, 29 medaglie, di cui 18 d'oro, fanno della Freccia del Sud un azzurro memorabile.

Come memorabile è quel record del mondo nei 200 metri con 19"72 ottenuto a Città del Messico, che è tuttora il record europeo. Era il 12 settembre 1979. Mennea detenne il primato per poco meno di 17 anni, fino a quando nel 1996 Michael Johnson corse, ad Atlanta, in 19"66.

Ma a Pietro Menna si associa anche quell’immagine del 28 luglio 1980, allo stadio Lenin di Mosca, in occasione delle Olimpiadi boicottate dagli americani. Mennea dovette partire dall’ultima corsia, la più ostica, e in un’impresa quasi impossibile recuperò tutti. Li sorpassò e vinse l’oro olimpico. Un dito puntato al cielo, 2 centesimi di scarto e una gioia esplosiva.

Una grande sportivo e un grande studioso

Fu un vincente anche fuori dal rettilineo. Conseguì quattro lauree: la prima, a Bari, in scienze politiche, poi in giurisprudenza, scienze motorie e sportive e infine in lettere. Oltre alla carriera sportiva, fu insegnante di educazione fisica, avvocato, curatore fallimentare, eurodeputato (a Bruxelles dal 1999 al 2004) e commercialista. Anche quando appese le scarpette al chiodo, Mennea non si fermò mai.

Il suo legame con la Salernitana

Dal “Gigante” di Barletta al cavalluccio marino di Salerno. Nel 1998 Mennea si legò ai granata. Fu per alcuni mesi dell’annata del salto in serie A direttore generale della Salernitana della gestione Aliberti. E dimostrò di saper fare anche calcio. L’allora presidente lo ricorda come un grande campione, ma anche una persona umile e semplice.

Fece maturare il progetto di cittadella dello sport, una sorta di Salernello che sarebbe dovuta sorgere nel comune di Giffoni Valle Piana e fu sempre dalla parte dello sport e dei giovani.

“Innanzitutto la Salernitana è una squadra del Sud, e io vengo da una città che è più a sud ancora di Salerno - disse Mennea - perché l' ho fatto? Non vivo e non ho mai vissuto di quello che ho fatto nello sport. E in realtà io qui sono un professionista che mette al servizio di una società di capitali la propria esperienza. Ho detto sì perché il presidente mi ha convinto, perché so che potrò lavorare”, disse Mennea. E così fu, ma i riflettori non furono mai cosa sua.

Lui capiva il lavoro ed il sacrificio. Credeva nell'impegno. "Non poteva andare d'accordo col meccanismo del calcio. Una volta - come ricorda il presidente Aliberti - mi chiese perché si dovessero prevedere i biglietti omaggio per i politici. Aveva le idee ben chiare".

"Soffri ma sogni"

Corse in vita e la sua vita corse, troppo veloce, insieme a lui.

"Ogni tanto c' è qualcuno nel parco che mi chiede: e tu che fai? Vorrei avere abbastanza fiato per rispondere: ho già fatto. 5482 giorni di allenamento, 528 gare, un oroe due bronzi olimpici, più il resto che è tanto. A 60 anni non ho rimpianti Rifarei tutto, anzi di più. E mi allenerei otto ore al giorno. La fatica non è mai sprecata. Soffri, ma sogni".

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