Aliberti, lacrime e stoccate: «La storia non va oltraggiata»

Il patron della serie A si commuove nel rivedere il gol di Vannucchi: «Fummo condannati a morte»

Salerno.  

Dice di non avvertire l’emozione dell’anno del centenario. Perché per lui la Salernitana «è finita quando aveva 86 anni». Aniello Aliberti lo ha sempre sostenuto e anche nel giorno del suo ritorno in provincia di Salerno ribadisce che «ci fu una condanna a morte» nei confronti della sua società. «Purtroppo tutte le porcherie e le cialtronerie che ho visto negli ultimi 14 anni hanno rafforzato sempre più l'idea che eravamo nel giusto», ha ammesso l’imprenditore di San Giuseppe Vesuviano prima di prender parte all’iniziativa “Cent’anni di maglie e di uomini” organizzata dalla Pro Loco di Pellezzano del presidente Luigi Carrella, insieme agli autori del libro "C'è solo una maglia... Storia dei colori sociali della Salernitana". «Quel club non doveva fallire. Era una società perfetta, non venne iscritta per tutt'altre motivazioni. Dopo 14 anni non ho avuto risposta», ha rincarato la dose Aliberti che, durante la serata, rivedendo le immagini della serie A e del gol siglato da Vannucchi nel match casalingo contro il Vicenza, si è lasciato tradire dall’emozione. «Quelle lacrime erano la somma di tante tensioni sviluppatesi in quella settimana - l’amarcord di Aliberti -, eravamo convinti che fosse una sfida difficile e la rabbia aumentò durante i novanta minuti perché vedevamo il Vicenza difendere il pareggio. Poi arrivò quel gol ed eravamo convinti che saremmo stati salvi ma l’inaspettata vittoria del Perugia ad Udine cambiò gli scenari. La retrocessione... I quattro ragazzi... Una cosa incredibile», ha affermato Aliberti commuovendosi. «La mia presidenza - ha proseguito l’ex patron - è arrivata in un'epoca bellissima, irripetibile. In 11 anni, pietra su pietra, è stato costruito qualcosa di bellissimo, curando quotidianamente una società che nella maniera più assoluta non doveva essere esclusa».

Un cruccio che rende «normale», l’anno del centenario della Salernitana. «Non ho nulla da festeggiare. Sono qui per la presentazione di questo libro, è stato svolto un lavoro serio e completo. Mi lega a questi posti l'amicizia fraterna con un uomo, Carmine Longo, mio grandissimo amico che mi ha onorato della sua amicizia. Per me è stato il migliore direttore che la Salernitana ha avuto e, con il tempo, ho avuto il rimpianto di non aver scelto lui per il campionato di serie A ma ero già in parola con Peppino Pavone». Aliberti racconta di essere «più legato alla maglia della promozione in A perché è quella che rievoca ricordi di un anno stupendo, bellissimo» ma di «non essersi mai affezionato a un calciatore in particolare perché fu il primo insegnamento che mi diede Delio Rossi nella mia prima trasferta a Licata».

Storia che Aliberti difende a spada tratta quando il tema si sposta sul presente. «Io quando sono arrivato nel ’94 mi sono inserito in una storia che già esisteva. Ho avuto la fortuna di conoscere Troisi, Tedesco, Soglia. Una storia costruita nel tempo da persone che ci hanno messo soldi, cuore, passione. A Salerno non abbiamo bisogno d’insegnamenti da parte di nessuno, non è una critica alle persone. Assolutamente. Ma c’è una storia che non può essere offesa o oltraggiata. E nessuno si può permettere di fare affermazioni di tal genere. Esiste la dignità, la correttezza di persone, qualsiasi sia la categoria». E quando gli si chiede quali potrebbero essere le condizioni per un suo ritorno all'Arechi, è ancora più diretto. «Con gesti di educazione. Nel '94 quando sono arrivato a Salerno chiamai Peppino Soglia, instaurai un rapporto di amicizia e gli dissi che la tribuna dell'Arechi era casa sua. Penso che questa sia una buona regola nel calcio. Ma io non lo voglio nemmeno questo perché sono e resterò legato alla più bella Salernitana».

Presente che s’intreccia con il passato. «Il co-proprietario della Salernitana - ha detto Aliberti riferendosi a Claudio Lotito -, che è presidente di un'altra società, la rilevò con 550 milioni di debiti. Un benefattore. Nessuno gli ha mai chiesto come abbia fatto a diluire quei debiti. Noi volevamo fare la stessa cosa e, nonostante l'autorizzazione dell'Agenzia delle Entrate, non ci fu concessa questa possibilità». Verità che l’imprenditore di San Giuseppe Vesuviano ha provato a far prevalere anche nelle aule di giustizia. «Non c'è più spazio e tempo, ci hanno esaurito. Quel che rimane è che la mia Salernitana non doveva essere esclusa, portandola prima in Terza Categoria fino al fallimento passando per la radiazione».