Una intervista a 360 gradi con il centroboa della Rari Nantes Donato Pica, che proprio pochi giorni fa ha ottenuto l'ennesimo rinnovo con i giallorossi. In una lunga conversazione, Pica ha parlato dei suoi inizi, del presente, del movimento pallanuotistico e del complicato rapporto con le istituzioni. Un quadro interessante, che va al di là dell'interesse per uno degli sport acquatici per eccellenza.
Donato, raccontaci dei tuoi inizi e se fin da giovanissimo ti eri preposto di arrivare a diventare un pallanuotista professionista.
"Sono entrato nella Rari Nantes all'età di 15 anni, che attingeva da altri vivai per portarli nella loro under 20 e introdurli eventualmente nella prima squadra. A quell'età non avevo idea che sarei diventato pallanuotista professionista, per quanto mi sarebbe potuto piacere. Poi la Rari Nantes già aveva il suo prestigio, con una squadra in A2 e un grande allenatore. Quando entrai, mi allenavo e poi rimanevo a vedere gli allenamenti della prima squadra. Due anni dopo il mister mi inserì in prima squadra e cominciai ad allenarmi con loro. Ovviamente a quell'età avevo timore, dovevo sottostare alle loro regole, portare le calottine e le bottigliette d'acqua..C'era rispetto del proprio ruolo."
E ora che sono passati 17 anni, come si sono evolute queste dinamiche tra giovani e veterani?
"Le cose sono cambiate. Io ne parlo anche con i ragazzi un po' più grandi. È totalmente diverso: prima non potevo aprire bocca in prima squadra. Questo è cambiato e mi dispiace. Ti parlo di rispetto, perché molti ragazzi di oggi sono più sfrontati. Se al tempo rispondevo male, mi facevano rispettare il mio grado. Questo mi ha fatto crescere. Secondo me, la vecchia scuola era quella giusta".
Che si sente di dire ai giovani che si approcciano alla pallanuoto?
"Di prenderla seriamente, perché ti forgia anche per la vita. Specialmente per uno sport di squadra, bisogna darsi una mano per raggiungere un obiettivo comune e rispetto delle regole e della disciplina. Queste sono tra le cose che più mi hanno fatto crescere anche al di fuori dell'ambiente sportivo. Dico di essere seri, ci sono sacrifici da fare. Come me, tanti altri giocatori si allenano e studiano o lavorano. Il consiglio è che essendo uno sport minore, bisogna comunque seguire anche altri progetti.
E come incentivare i giovani ad avvicinarli a questo sport?
Ne abbiamo parlato anche in società. Dobbiamo accogliere quante più persone possibili, anche con intrattenimento e spettacoli, per esempio prima e durante la partita. Poi mettere anche un punto ristoro. Basterebbe poco per invogliare i giovanissimi ad avvicinarsi alla piscina. Poi, lo sport di per sé è avvincente e non ho dubbi che un bambino che vede la partita la troverà avvincente. Poi è chiaro che è uno sport faticosissimo, che richiede molti sacrifici... Ma offrendo questi servizi si potrebbe dare qualcosa in più.
In questi 17 anni c'è stato qualche momento in cui hai avuto voglia di cambiare aria, competere per altri obiettivi. Insomma, andare via da Salerno?
Nel 2016 abbandonai del tutto la pallanuoto per dedicarmi agli studi universitari. Mi allenavo e studiavo, ma non seguivo la squadra in trasferta. Presi la laurea quello stesso anno e lì si presentò la possibilità di andare via. Il presidente mi diede l'opportunità di lavorare con lui e continuare a giocare qui a Salerno. Negli anni ci sono state proposte da varie squadre, sia dall'Italia che dall'estero, dal Lille. Per l'attaccamento alla società e alla città però ho sempre deciso di rimanere qui.
E quale obiettivo ti rimane ancora, a livello individuale e di squadra, per coronare questa lunga carriera?
Anche se inizialmente non pensavo di fare una carriera da pallanuotista professionista, l'appetito vien mangiando. Quando siamo saliti in A1 ci siamo trovati di fronte a giocatori che erano nel giro della nazionale e che facevano le coppe europee, le Olimpiadi e i Mondiali. Quello ti dà voglia di fare sempre di più. Ecco: due anni fa siamo andati vicini ai piazzamenti europei. Questo mi farebbe piacere: portare il nome di Salerno fuori dai nostri confini. Tra gli obiettivi personali mi rimane la naizonale, che pur non essendo giovanissimo c'è qualche possibilità".
L'affondo: "Il Comune ci ha abbandonati"
In chiusura, si parla di politica e di una querelle che già mesi fa aveva fatto discutere.
L'anno scorso c'è stato un problema serio alla piscina Vitale che vi ha costretti a trasferirvi per tutto il girone d'andata. Che tipo di evoluzione ha visto sul movimento pallanuotistico, e c'è stato un supporto adeguato da parte delle istituzioni?
"Prima veniva gestita bene: non c'erano problemi di umidità, anche se c'erano problemi di temperatura. In inverno la temperatura esterna era maggiore rispetto a quella interna, e ci allenavamo con l'acqua della piscina a 20 gradi. Poi, dopo il covid, le istituzioni ci hanno abbandonato completamente. Se vieni in piscina trovi una struttura fatiscente. Abbiamo avuto problemi di legionella. Sono cose che non possono accadere. Per uan società di A1 - la massima serie della pallanuoto - non ci si può permettere di non avere una piscina e allenarsi e giocare atlrove. Ci siamo sentiti realmente abbandonati dal Comune. Il presidente fece anche la richiesta di prendere in gestione la piscina e fare i lavori necessari. L'ha chiesto più e più volte ma il Comune si è sempre opposto. Si potrebbero fare molte cose, includendo una palestra, una tribuna nuova...Si potrebbe fare tanto. Qua c'è un grande tifo e lo riconoscono anche giocatori che vanno alle Olimpiadi o ai Mondiali. La piscina era un inferno, era bellissimo giocare con quell'atmosfera".
Intervista a cura di Alessandro Faggiano