Si spengono le industrie, si accendono le luci, d'Artista

La desertificazione salernitana: in 3 anni 10mila operai in mobilità

Salerno.  

Le aree industriali somigliano sempre più a quei set di film apocalittici, quando resta qualcosa di un luogo vissuto un tempo, un ricordo, una visione sbiadita, impressa nella mente, capannoni abbandonati, grossi cartelloni con scritto fittasi, colonie di randagi e sterparglie. Per gli esperti di economia sarà il settore delle auto a tirare ancora, almeno fino al 2020, seguito dalla metallurgia e dalla farmaceutica, che cresceranno al di sopra della media dell'industria italiana, pronta ad attestarsi ad un 1,8% annuo. Le imprese più competitive saranno poi quelle che riusciranno ad internazionalizzarsi, entrando nella catena globale e inserendosi nel commercio estero. Ma cosa resta di tutto questo a Salerno e provincia?In una sola parola: abbandono. Le grandi industrie sono andate via ormai quasi tutte. L'Ideal Standard ha chiuso i battenti nel 1999 non prima di aver, è da accertare, intossicato con l'amianto i suoi circa 100 dipendenti che sono finiti in mobilità, mentre i suoli vennero ceduti agli imprenditori, da lì le vicende giudiziarie che ne seguirono, nelle quali fu implicato l'attuale presidente della regione De Luca, per il mai realizzato Sea Park, ma questa è un'altra storia. Non hanno retto neanche le multinazionali, prima ha lasciato lo storico stabilimento salernitano l'ex Pennitalia, l'Agc Glass, senza lavoro altri 140 operai, era stato un vero e proprio colosso per oltre 50 anni.

E' toccato poi all'Essentra, ex Filtrona, che ha lasciato Salerno due anni fa, mandando a casa altri 130 dipendenti. Quel poco che è rimasto non è che poi se la passi bene, Il pastificio Antonio Amato, tra i maggiori pastifici d'Italia, dopo il crack del 2011 è passato al Pastificio Di Martino di Gragnano, fino ad avere la nuova denominazione nel 2012 “Molino e Pastificio Antonio Amato” e il ridimensionamento dei dipendenti che sono passati da 130 a circa 30. Anche Italcementi, acquistata nel 2015 dal colosso tedesco Heidelberg avrebbe confermato i tagli a Salerno, volendo trasformare l'impianto in centro di macinazione, impiegando in questo modo solo 25 dei 66 dipendenti. Cosa resterà allora? Reggevano le Fonderie Pisano, travolte ora da altri e ben più gravi problemi, incerta la loro sorte se non riuscirà la tanto invocata delocalizzazione dell'impianto che permane in una zona abitata con le evidenti conseguenze del caso.Tiene meglio l'area industriale di Battipaglia che si regge sugli ammortizzatori sociali, industrie chimiche e meccaniche che lavorano per l'indotto auto.

Secondo un'indagine della Cgil di Salerno dal 2012 al 2015 sono 10.000 gli operai andati in mobilità. L'agroindustria mantiene, invece, impiegando 10-12mila braccianti che vi lavorano nella Piana del Sele, tra aziende dedite alla prima manipolazione e alla quarta gamma, tra queste la multinazionale Bonduelle, Punzi, Rago, Finagricola e tante altre che devono la loro fortuna anche e soprattutto all'importazione. Non ha problemi neppure l'agronocerino sarnese, dove resistono le aziende di trasformazioni di alimenti, Petti, Annalisa, Pomilia, Fontanella, oltre 12mila gli stagionali impiegati nel settore conserviero, 4-5mile i fissi. Si continua ad andare avanti, dunque, anche se non c'è soluzione alla desertificazione che ha preso Salerno che sta cercando, con non pochi sforzi, di reinventarsi città turistica, speriamo che le luci che si accendono in inverno facciano da contrappasso a quelle delle fabbriche che si sono spente per sempre.  

Sara Botte