di Emanuela Marmo
Viaggiando attraverso i pianeti e scoprendo l'importanza di avere una rosa da amare, il Piccolo Principe di Antoine de Saint-Exupéry si stupiva della vanità e delle banali, inutili complicazioni che tanto occupavano i personaggi che incontrava.
Il viaggio di formazione del Piccolo Führer, romanzo illustrato di Daniele Fabbri, Stefano Antonucci e Mario Perrotta, racconta invece il viaggio di un fanciullo privo di pietà e candore, con una spiccata e naturale propensione ad apprendere i perversi trucchi del controllo e della manipolazione. La storia di Daniele Fabbri e Stefano Antonucci non è la parodia del Piccolo Principe. È la parodia del sistema propagandistico costruito dalla stampa, dai miti, dalle teorie che formano il pensiero politico dei leader. Il più vittorioso, il più famoso, il più temuto dittatore, in fondo, non è il più crudele. È solo il più organizzato. Impara ad affinarsi e a perfezionarsi grazie ai maestri che capitano sulla sua strada fin dalla più tenera età.
Il futuro Führer non prende le distanze dalle assurdità che vede, al contrario le assimila, le interiorizza, le porta alla loro massima espressione. Mentre l'opera francese è una visione allegorica del male e del bene che connotano l'esperienza terrena, Fabbri e Antonucci, alla maniera di un Esopo senza etica, elencano gli insegnamenti pratici che, di pianeta in pianeta, hanno permesso al Führer di diventare ciò che poi è stato.
L'espediente narrativo ci dice che Hitler avrebbe scritto, poco dopo il Mein Kampf, un libro per ragazzi. Il mondo da “favola”, rieditato dai nostri autori, fin dall'incipit si prende gioco anzitutto delle verità edulcorate delle favole buone. Con sadismo si deride non solo il tiranno, ma anche la massa dei suoi estimatori. Cosa leggerebbe a suo nipote un potenziale seguace di Hitler? Che favola metterebbe sullo scaffale un nonno nostalgico del glorioso nazismo?1 Non si tratta solo di denunciare il peso dell'educazione nel pensiero politico dell'adulto, ma anche di mostrare che il potere non si rivolge mai all'adulto; parla al bambino interiore e soltanto i poeti hanno l'ingenuità di credere che sia la nostra parte migliore. Il bambino che è dentro di noi è invece l'interlocutore perfetto per il despota: si fa plagiare, incantare, deviare. A quel bambino è possibile parlare da qualunque luogo: dal circo, dall'osteria, dal giardinetto.
Bastano un po' di diplomazia e una promessa. Il bambino non si stupisce, non inorridisce. Egli emulerà e, imitando, poi farà meglio. Imparerà il gioco, che in fondo è semplice: Se alzi il braccio, lo alzano anche loro. Occorre inventare delle verità per addomesticare. Come in un gioco tra bambini, il senso della sfida non è nell'importanza dei discorsi, bensì nell'enfasi delle parole chiave: «...e vinceremo!». Così Mussolini insegna al piccolo Hitler. Ma l'allievo, dicevamo, è destinato a diventare più bravo, termina infatti il suo discorso di prova con una parola più forte, più bella, più eroica: «...Giustizia!».
Qualsiasi cosa, anche la più orribile, può essere data in pasto alla gente, se la ricetta
è quella giusta. La ricetta giusta è tenere segreto il vero ingrediente, svelare solo quelli che piacciono. Tutti mangeranno würstel, è sufficiente non dire di cosa siano fatti.
Il Piccolo Führer è un'opera satirica. Hitler appare più ridicolo che buffo. I toni acquerello delle illustrazioni, così vicine a quelle che risulterebbero idonee a un pubblico di bambini, si armonizzano alla narrazione, altrettanto semplice, dal ritmo pacifico, lineare. L'abilità degli autori è tale e così coinvolgente che noi lettori finiamo in un pianeta grottesco e ovattato, come ci finirebbe il piccolo Principe: ci sbalordiamo per le verità paradossali che vi leggiamo, ne ridiamo ogni volta che incrociamo i dati storici, infine ci scagioniamo: «No... io non ci cascherei, noi non faremmo più cose del genere». Magari ci soffermiamo sull'unico personaggio buono che il Führer incontra, fingendo di non aver notato che è anche il solo ad averlo annoiato o non ammettendo di aver noi stessi sorriso di più, trovandoci scandalosamente in sintonia con il dittatore, anche se per pochi secondi, e rinnegando di aver pensato: «Eh, già... che noia la buonista!»
O magari è proprio in lei che ci immedesimiamo, in Anna Frank. Magari tutto il tempo abbiamo ricordato il Principe di Antoine de Saint-Exupéry. Il punto satirico, allora, combacia con quello tragico, l'istante in cui si fa chiaro come finisce la storia vera: Anna muore in un campo di concentramento, de Saint-Exupéry muore in un aereo abbattuto da un caccia dell'aviazione nazista. Sicché... La satira si salverà stampando in territori “alleati” e noi finiremo in qualche barzelletta che ci ridurrà in cenere.
1Nel volume 2 di Qvando c'era Lvi, fumetto che Fabbri, Antonucci e Perrotta pubblicano con Shockdom, un nipotino chiede al simpatico nonno: «Mi racconti (la favola) di nuovo?». Il nonno risponde: «Certo, le favole vanno ripetute all'infinito!». Cosa leggerà mai questo nonnino fascista in un fulgido domani? Naturalmente, Il Piccolo Führer!