I Carabinieri della Compagnia di Battipaglia hanno eseguito un’ordinanza di custodia cautelare emessa dal Gip. del Tribunale di Salerno nei confronti di Cosimo Melillo, imprenditore edile 59enne, finito agli arresti domiciliari, e Teodoro Loffredo, 61enne dirigente del servizio cimiteriale del Comune di Battipaglia, e Ranieri Vitale, 58enne dipendente comunale addetto al citato servizio, per i quali è scattata la sospensione dai pubblici uffici.
Corruzione, truffa aggravata e abuso d’ufficio: sono le ipotesi di reato prospettate a vario titolo in una indagine ("Ade" il nome in codice) che, avviata l’estate scorsa, trae origine dalla presenza all’interno del cimitero di Battipaglia dell'imprenditore edile Melillo, già gravato da una condanna per 416 bis, risalente al 2008, in quanto ritenuto sodale del clan camorristico “Giffoni - Noschese”, all’epoca egemone sul territorio. In particolare, aveva destato sospetto il fatto che eseguisse la quasi totalità delle operazioni di polizia mortuaria, fuori dai formali circuiti amministrativi dell’ente locale.
Le indagini, dirette e coordinate dalla Procura di Salerno, avrebbero portato alla luce un presunto stabile patto corruttivo tra pubblici funzionari ed imprenditore in danno del Comune di Battipaglia e dei privati cittadini, indotti con l’inganno a versare somme di danaro dall’ammontare variabile per ottenere i servizi cimiteriali.
Presso il cimitero di Battipaglia, oltre ai due dipendenti, erano assegnati diversi operai specializzati abilitati a svolgere le operazioni di polizia mortuaria, che di fatto erano inutilizzati. Nessuna ditta privata poteva sostituirsi ai medesimi, stante l’esclusiva competenza dell’ente locale all’esecuzione del servizio, saldabile solamente attraverso apposito versamento a favore della pubblica amministrazione con bollettino postale o bonifico bancario.
Il “danno” per le casse comunali era peraltro doppio: è stato, infatti, accertato che il materiale edile usato da Melillo per i lavori cimiteriali era preventivamente acquistato dal Comune, quindi pagato dai contribuenti a monte.
Le indagini condotte dai carabinieri avrebbero svelato come i due impiegati comunali sospesi, in combutta con l'imprenditore edile, violassero stabilmente tale regime, intascando direttamente il denaro da parte di privati cittadini, i quali, erroneamente persuasi di una temporanea indisponibilità di mezzi e dipendenti comunali, lo versavano nelle mani del privato imprenditore ovvero dei pubblici funzionari, che ripartivano tra loro tre le somme illecitamente ottenute e definitivamente sottratte all’ente locale.
Tra le misure, anche il sequestro preventivo per equivalente di somme di denaro, ovvero di beni mobili ed immobili appartenenti agli indagati fino alla concorrenza degli importi costituenti il contestato profitto dei reati, ammontante a 25mila euro circa.