Detenevano lo spaccio di droga nel Cilento ed avevano come base operativa la cittadina dei templi. Il procuratore generale ha chiesto ai giudici della Corte di Appello di Salerno, la conferma della pena, inflitta in primo grado ai componenti il clan Rossi. In 19, questa mattina, sono comparsi dinanzi ai giudici del secondo grado di giudizio del Tribunale di Salerno. Al termine della requisitoria, il procuratore generale Consoli ha formulato le richieste di pena.
In primo grado i 19 imputati avevano scelto riti alternativi all’ordinario. All’epoca il giudice per le udienze preliminari del tribunale di Salerno, inflisse 16 anni di carcere a Giancarlo Rossi, figlio dell’ex boss cutoliano Umberto Rossi condannato a 14 anni e 10 mesi. Giancarlo prima ed il padre dopo erano al vertice del sodalizio dedito allo spaccio di sostanze stupefacenti. Le altre condanne: Salvatore Maresca, 16 anni; Mario Grimaldi,12 anni; Mario Di Mieri, 10 anni; Antonio Buonora, 8 anni; Lucido Valentino Venturiello, 8 anni; Francesco Rossi, 7 anni e 8 mesi; Raffaele Russo, 6 anni e 8 mesi; Carmine Marrazza, 6 anni e 8 mesi; Costantino Leo, 6 anni e 8 mesi; Roberto Maresca, 6 anni; Mario Menechini 6 anni; Silvia Seno 6 anni; Gianluigi Strianese, 5 anni e 8 mesi; Saleh Errechiech 4 anni e 4 mesi; Sylvia Helena Markowska, 3 anni e 10 mesi; Adrian Daniel Markowska, 3 anni e 10 mesi e Mirko Ruggieri 2 anni.
A capo del sodalizio criminale, smantellato dai carabinieri nel luglio 2017, vi era Umberto Rossi, 70 anni, meglio conosciuto come “Umberto o napulitan”, ex affiliato al disciolto clan della Nuova Camorra organizzata di Raffaele Cutolo. Rossi arriva al vertice del sodalizio criminale dopo l’arresto del figlio Giancarlo. Fino a quel momento era lui a detenere il controllo dello spaccio, dei rifornimenti e i contatti con la rete di pusher. Quando Giancarlo Rossi fu arrestato i fornitori napoletani di stupefacente rivendicarono un debito, contratto appunto da Giancarlo, pari a 50mila euro. Una somma che avrebbe portato al dissesto l’intera famiglia. Fu così che Umberto, il capofamiglia decise di prendere in mano la situazione mettendosi al vertice del sodalizio criminale che deteneva le piazze di spaccio a sud della provincia.
Pina Ferro