Conclusione indagini per i dipendenti dell’Hospice “Il girasole” di Eboli. In 17 rischiano il rinvio a giudizio. Le accuse sono di truffa, peculato, abuso d’ufficio. A carico del dottore Marra permane anche quella di omicidio. A firmare l’avviso di conclusione indagini è stato il sostituto procuratore Elena Guarino. Il provvedimento è stato inviato a Alessandro Marra, Giovanni Zotti, Antonio Magrini, Luigi Mastrangelo, Mario Vicidomini, Davide Di Maio, Carmine Iorio, Cosimo Galdi, Gerarda Conte, Loredana De Ruberto, Liliana Moccaldi Sinibaldi Rufolo, Pasqualina Calzaretta, Claudio Schettini, Giuseppe Valletta, Guglielmo Zottola, Vito Pastena, hanno a disposizione venti giorni di tempo per presentare al magistrato titolare del fascicolo una memoria difensiva.
Successivamente sarà formulata la richiesta di rinvio a giudizio al Gup. Alcuni degli indagati hanno anche ricevuto, già a suo tempo, l’interdittiva della sospensione dai pubblici uffici. Era ottobre 2018 quando i carabinieri del Nas eseguirono un’ordinanza nei confronti di 11 dirigenti medici e appartenenti al personale infermieristico in servizio presso l’unità operativa di Medicina del dolore e cure palliative – hospice “Il giardino dei Girasoli”.
Secondo la Procura spesso gli infermieri non si recavano nei giorni previsti oppure non si recavano proprio dai pazienti che dovevano ricevere le cure palliative presso le loro abitazioni. Molti di loro entravano nella sede del distretto sanitario, timbravano con badge ma poi uscivano dall’ufficio per andare a fare commissioni private, salvo rientrare entro la fine del turno. Altri invece, pur essendo in servizio avrebbero raggiunto luoghi non attinenti con il lavoro da svolgere e senza timbrare il cartellino d’uscita. Un’inchiesta che fece scalpore.
Sicuramente la posizione più grave è quella del dottor Alessandro Marra accusato anche di omicidio. Il Pm nella conclusione indagini scrive che “nella sua qualità di medico - chirurgo (esperto di cure palliative), mediante la somministrazione di concentrazioni molte elevate di Midazolam, rientranti tra quelle potenzialmente tossiche, cagionava la morte di Carmine Giannattasio, agendo consapevolmente e deliberatamente in contrasto con le ultime volontà espresse dal paziente e dai suoi familiari che avevano richiesto solo cure palliative atte a fronteggiare il dolore”.
Il magistrato sottolinea anche “con l’aggravante di aver commesso il fatto con l’uso di sostanze venefiche in quanto medicinali somministrati in dosi talmente massive da essere tossiche e letali nonchè idenee a provocare il decesso anche a persone non affette da patologia oncologica terminale”.
Pina Ferro