Con Vincenzo De Luca è nata una nuova forma di politica che non si basa su fondamenta ideologiche, archiviate e gettate nel cassonetto di un passato che resta con i volti e con i cognomi ma senza idee, né tantomeno sul senso istituzionale.
Quella di De Luca è la “politica virale” che nasce anni fa a Salerno, con quelle trasmissioni su Lira Tv che lo resero un fenomeno televisivo, e che si consacra con le dirette Facebook di aggiornamento sul covid. Una politica che non ha appartenenza che ha varcato i confini e gli steccati ideologici, che ha ristabilito un rapporto individuale con le persone, affascinate dall’uomo forte capace di decidere e di trovare un nemico nell’immediato.
Che la pandemia con il suo bagaglio di paure, di bisogno di protezione e di ricerca di punti fermi, influisse sul voto era cosa palese e chiara. Molti risultati locali possono, infatti, darci la possibilità di osservare quanto questo straordinario momento della storia dell’umanità abbia avuto contraccolpi importanti sulla nostra società, sugli equilibri sociali, economici e politici.
I volti consegnati dal virus alla notorietà sono tanti anche in politica. Proprio come nel mondo del trash dove la signora di Mondello si trova a diventare influencer, così il comico sindaco di Lucera (FG), Antonio Tutolo, è passato dalle dirette Facebook dove invitava le donne a non radersi, al Consiglio Regionale della Puglia.
Con le dovute proporzioni, in Veneto Luca Zaia ha consacrato la sua leadership, nonostante le interviste sbagliate sui cinesi che mangiano i topi, preoccupando anche Salvini che invece sembra in perenne affanno.
In Campania abbiamo avuto l’esempio più clamoroso di quanto il virus abbia influito sulla carriera di un presidente come Vincenzo De Luca che solo a gennaio sembrava uno sconfitto annunciato, abbandonato e messo all’angolo da tutti, Pd compreso, e che oggi si gode il suo storico e ineguagliabile 70%. Un risultato che è stato frutto di una comunicazione e di un atteggiamento che lo ha fatto diventare lo “sceriffo” non più di Salerno ma d’Italia, con le sue dirette Facebook che, da Naomi Campbell al Giappone, sono diventate virali e pandemiche proprio come il Covid.
Certo su questo risultato pesa in maniera forte la scelta di mettere insieme una coalizione con 15 liste, capace di includere tutto ed il contrario di tutto, sdoganando, senza alcun paravento morale o etico, il trasformismo come fondamento stesso di un progetto politico.
Il presidente non ha cambiato registro e, dopo il bagno di consenso, è tornato alla sua scrivania per una diretta Facebook, come sempre senza contraddittorio, per dare al suo popolo gli aggiornamenti sul contagio. De Luca ha sciorinato dati, ha parlato di una seconda ondata che stiamo già vivendo e ha minacciato, con la solita verve, di “chiudere tutto”.
Eppure i dati che stava dando dicevano altro. I contagi sono maggiori rispetto a marzo e aprile, quando eravamo tutti tappati in casa, ma il presidente dimentica di dare i numeri dei tamponi che sono aumentati in maniera più che sensibile. Il presidente prudentemente non mette l’accento sul dato realmente importante: i numeri dei ricoveri, sia in terapia intensiva che non, sono lontanissimi da quelli tragici dei giorni peggiori.
Oggi i dati di cui disponiamo ci dicono con chiarezza una cosa, e questo lo fanno in tutto il Paese, nei mesi in cui l’Italia intera ha guardato quelle file di bare in tv, non riuscivamo a tracciare i contagi, non avevamo condizione di quanto fosse esteso il contagio, i tamponi che si facevano erano pochissimi e il controllo, il tracciamento dei contatti e le esperienze non esisteva.
Non è più tempo di giocare con la paura, non è più tempo di minacciare chiusure, non è più tempo di mostrare autoritarismo perché le cose sono cambiate.
Certo a febbraio e marzo ha funzionato, il governatore si è ritrovato al centro di un vortice che ora lo ha fatto diventare l’uomo più potente non solo della Campania, ma se si vuole continuare a mostrarsi come padre della patria si rischia di generare quel sentimento innato nell’essere umano di libertà che porta al parricidio.
Lo stesso sentimento che, dal mito di Crono ucciso da Zeus a Bruto che uccide Cesare, genera la rivolta contro un simbolo di un’oppressione, anche se bonaria e familistica.
De Luca ha stravinto con la sua politica virale, con la sua comunicazione ormai senza domande, con il suo autoritarismo poco per bene, con la capacità di fare accordi innaturali. Ha vinto specificando in ogni sua uscita dopo il voto di lunedì che questa vittoria è solo sua, l’unico capace di attirare la destra, è una vittoria di popolo, quello stesso popolo con il quale lui stabilisce un filo diretto, senza mediazioni. Una vittoria, un atteggiamento e un linguaggio che richiamano non le moderne democrazie, ma i fragilissimi sistemi verticistici, leaderistici e populisti sparsi in giro nel mondo. Quei sistemi dove il leader è padre della patria, aiuta il popolo, lo rimprovera, lo educa e nelle urne supera numeri sani per ogni processo democratico.
Per ora la politica virale dello “sceriffo” ha pagato ma la Campania e Napoli in particolare non ha mai accettato o fatto durare troppo i capipopolo, qui la rivolta e l’anti-autoritarismo scorre nelle vene di una storia di un popolo che difficilmente si fa governare che ha la libertà, in ogni sua forma e distorsione, come unico obiettivo.