I nostri tempi hanno trasformato un virus in una critica sociale e anche la pandemia sembra aver deciso di mettersi a sottolineare le storture della nostra società. I focolai sembrano studiati a tavolino per ricordare al mondo che esistono gli invisibili e che sono comodamente trasparenti se servono a qualcuno per accumulare profitti, ma diventano ingombranti e problematici quando si ammalano, quando vorrebbero diritti fondamentali, quando si scoprono umani.
Una volta sono i lavoratori del macello superproduttivo tedesco, che arrivano dall’est, sono sottopagati, vivono e lavorano in condizioni che fanno tornare alla mente la schiavitù, si ammalano e si infettano a vicenda. In questo caso c’è la critica sovranista che si scaglia contro chi viene da fuori a portarci il virus, e quella invece che dibatte sulla possibilità di un disegno che ci suggerirebbe una dieta vegana.
Ci sono stati i bulgari di Mondragone, diventati improvvisamente, solo da contagiati, un problema nazionale. Eppure quelle palazzine ex-Cirio sono occupate da anni e quelle persone sono da anni che lavorano come schiavi nei campi. Uomini, donne e bambini che vivono nella totale indifferenza da anni e che improvvisamente si sono ritrovati ad essere diventati il centro per qualche ora del circo mediatico e politico italiano.
Poi è il momento che tutti aspettavano il primo caso e poi un focolaio in un campo rom, addirittura a Scampia. Un campo, uno dei tanti dimenticati e abbandonati, che improvvisamente diventa un luogo di degrado e che ha ridato slancio sopratutto al sovranista e amante delle ruspe.
A cavalcare ogni focolaio arriva la politica, o meglio il populista di turno, che sia con lanciafiamme e mascherina o con cesto di ciliegie, stecca da selfie e nuovo anatema da lanciare.
Poi però in questi scenari perfetti per i nuovi influencer da palazzo, in questi focolai di like e dirette dove ogni messaggio può diventare davvero virale, accade qualcosa che sovverte, che rivoluzione, che ribalta il racconto.
Nel campo rom di Giugliano in Campania, ad esempio, una bambina si avvicina al leader leghista Matteo Salvini, quello delle ruspe, dei censimenti dei rom e del razzismo sdoganato e normalizzato, per chiedere, con la semplicità e la forza dei bambini, all’ex ministro dell’Interno “perché non mi dai una casa?”.
Con un gesto tanto semplice quanto rivoluzionario, quella bambina ha stravolto la comunicazione di qualsiasi “bestia” social, ha ribaltato la visione e aperto una prospettiva per tornare umani.
In un attimo il problema del mondo non poteva più essere quella bambina con la sua innocenza e la sua fragilità ma cosa non si è fatto e non si fa per lei.
Il problema non erano più i rom che rubano e uccidono ma semplicemente il diritto di ogni bambino all’infanzia.
Per un momento, in diretta Facebook, forse anche il bullo che girava in ruspa si è imbarazzato ad averlo anche solo pensato di voler incolpare quella bambina di tutti i mali del mondo.
Con una semplice domanda quella bimba ha dimostrato che, nonostante tutti i circhi mediatici, politici, culturali ed economici, c’è solo una verità innegabile ed è che siamo tutti umani.
Lo sono i lavoratori del macello tedesco, lo sono i bulgari delle palazzine ex-Cirio di Mondragone, lo sono i rom del campo di Scampia a Napoli.
Sono umani anche i sovranisti, anche quelli delle ruspe e dell’affonda il barcone, lo sono anche se soffiano sulla rabbia e si nutrono di odio.
Sono umani anche loro, dovrebbero solo riscoprirlo e per farlo basterebbe ascoltare quella bambina che ieri con la sua chiarezza ha sconfitto tutte le architetture politiche di un mondo che non funziona più.