In nessun giorno come quello nel quale si ricorda il massacro di piazza Tienanmen dovremmo ritornare a capire che le piazze sono una cosa seria. Questi luoghi, da sempre, raccolgono le gioie e le rabbie vere. In questi luoghi si fa la storia, la si muta, la si piega e la si stravolge.
Le piazze sono una cosa reale come reale è quel flusso, quella carica emozione, quell’elettricità che le attraversa ogni volta che si riempiono.
Dalle piazze arrivano le idee, le grida, i sogni. Nelle piazze entrano i singoli individui e diventano moltitudine, le solitudini si scoprono parte di un popolo.
Le piazze sono una cosa seria, ce lo dicono le immagini che arrivano dagli USA, i manifestanti in ginocchio insieme con i poliziotti, i fuochi, le violenze, le “adunanze sediziose”. Ce lo ricordano le piazze di Hong Kong, con i ragazzi che ancora una volta sfidano quello stesso potere cieco e brutale del 1989.
Giocare con le piazze invece è pericoloso, farlo come è accaduto qui da noi in italia per cavalcare un’onda, per scattare qualche selfie, per lucrare un po’ di consenso è invece un’operazione che rischia di vanificare e banalizzare quei luoghi sacri della partecipazione.
Quell’arancione fluorescente di un ex-generale, ex-senatore ed ex-capo forcone capace solo di urlare inutili teorie vagheggianti, ridicolizzando la forza del conflitto, spegne la piazza spogliandola della sua serietà.
Il nostro Paese sta attraversando una fase durissima, il conflitto freme sotto i ritardi, le mancanze, le paure e la precarietà. Fremono i tanti dimenticati, fremono i milioni di disoccupati e milioni che un lavoro neanche lo cercano più. Fremono gli operai che non hanno avuto la cassa integrazione, fremono gli imprenditori che non hanno ricevuto aiuti e che non sanno come ripartire, fremono i professionisti abbandonanti alle loro supposta ricchezza. Scompaiono ancora più nell’ombra i tanti lavoratori a nero che, in quest’Italia moderna e sommersa, tengono in piedi l’intero sistema. Fremono gli studenti ai quali è stato concesso ogni tipo di attività di consumo ma ai quali è ancora proibita la scuola.
L’Italia è un fremito continuo. Un torrente di rabbia e paura interclassista, trasversale, senza confini geografici.
Il tempo per le belle parole è scaduto e i proclami non sono più ammessi.
Ma le piazze, qui da noi sono diventate un circo, una colorita messa in scena senza valore. Per ora provano a riempirle gli urlatori, i leader del selfie, gli ideologi da mojito e Papete, I fluorescenti complottisti
Le piazze sono una cosa seria, lo sono in USA, ad Hong Kong, in Sud America, lo sono ovunque e forse lo torneranno ad essere anche in Italia.