“Possiamo essere arrivati fin qui su navi diverse, ma ora siamo tutti nella stessa barca”. Nella tempesta perfetta nella quale ci troviamo oggi, questa frase di Martin Luther King suona come un monito che ci richiama all’intelligenza prima ancora che alla solidarietà e all’unità.
Un giorno forse racconteremo questa storia con il dovuto distacco. Analizzeremo questa tragedia con lo sguardo indipendente degli storici. Un giorno avremo i dati per poter iniziare a fare le valutazioni scientifiche vere, per capire davvero cosa è successo e cosa abbiamo pagato.
Un giorno forse riusciremo a contare ogni morto non come un numero ma come una vita, con la sua storia personale che si è spenta in un dramma collettivo.
Ora però viviamo bloccati in questo presente tragico, nel quale come unica arma contro questo virus, abbiamo la fuga, il rintanarci, l’abbandono di quegli atti, di quei gesti e di quei momenti che rendono l’uomo ciò che è, un animale sociale, capace di esistere non come singolo ma come parte di una collettività che, in maniera involontaria, muove e decide le vite individuali di ognuno di noi.
È in questo presente però che dobbiamo analizzare. Lo dobbiamo fare con il sentimento di oggi, con la paura e la rabbia che disturbano la nostra visione e viziano la nostra analisi, con la malinconia di quello che non abbiamo più.
Questo è un presente fatto di confusione e di incomprensione. La confusione delle decisioni prese in una logica di parte che rende l’umanità ancora più fragile. L’incomprensione delle dinamiche di ciò che sta accadendo che ci rende nudi e ignoranti davanti al virus.
In questo presente caotico nella sua staticità c’è chi apre e chi chiude. Chi dice che non c’è spazio per le polemiche e le lancia e chi le lancia senza neanche porsi il problema dello spazio.
C’è un Paese sminuzzato in troppi poteri, in decine di decreti, in migliaia di ordinanze, in troppe regioni e troppi comuni. C’è un popolo che si deve raccapezzare in una fitta matassa di divieti messi e tolti, di informazioni valide e inutili, in un mare fatto di consigli di virologi e post di politici che, come al solito, sembrano avere la verità in tasca.
In questa confusione si diluiscono le responsabilità e si nascondono fino a cancellarsi le cause di un contagio che continua ad essere fuori controllo.
Così per un governo centrale che riapre le librerie ci sono almeno tre grandi regioni che le chiudono. Per un governatore che permette le grigliate, ce ne sono altri che promettono i lanciafiamme. Per un sindaco che chiede l’asporto ce n’è un altro che blocca il trasporto.
Davanti ad un mare in tempesta gli italiani dovrebbero iniziare a capire di essere “nella stessa barca” e invece sembra che ormai la colpa del contagio sia dei cittadini incapaci di rimanere chiusi in casa. Eppure ci dovrebbero spiegare come mai le residenze per anziani si sono trasformate in focolai del virus in tutta Italia. Dovrebbero iniziare a dirci perché non ci sono le forniture, perché quello che si vieta a Napoli lo si permette a Venezia.
La barca nella quale ci troviamo è danneggiata da decenni di riforme monche che hanno fatto delle Regioni centri di potere e di clientelismo indipendenti, trasformandole in elefanti indelicati che si muovono senza grazia in un negozio di cristalli. Abbiamo costruito governi innaturali e deboli, abbiamo scelto chi decide non per merito ma per scalata. Abbiamo ridotto la democrazia a un gioco di consensi nel quale chi urla di più, conta di più.
Navighiamo in questa tempesta drammatica imbarcando acqua da quelle falle di uno scafo depredato da decenni di gestione viscida e incompetente.
Oggi il racconto di questo presente non possiamo ridurlo ai cittadini indisciplinati che escono di casa. Non possiamo coprire i danni fatti dagli interessi privati di chi pur di produrre profitti ha taciuto sul contagio e di chi oggi, pur di tornare a speculare, vorrebbe raccontarci che il peggio è passato.
Siamo in una tempesta perfetta, tutti “nella stessa barca” e il pericolo maggiore è che non c’è nessuno al timone perché stanno tutti correndo alle scialuppe.