C’è una narrazione che per secoli ha diviso il Paese, facendo leva sui preconcetti e sui pregiudizi. Una narrazione dominante che vede il Mezzogiorno come il grande gigante sempre stanco, sempre in affanno sempre arretrato. La palla al piede di un Nord che potrebbe invece volare insieme con le grandi economie del Europa centrale.
Una narrazione che nel tempo è diventata più subdola, insinuandosi nel linguaggio comune e riemergendo in errori comunicativi e linguistici di chi è convinto di essere immune da ogni razzismo.
Anche nel racconto del coronavirus, dell’emergenza e della quarantena questa narrazione che ha influenzato il linguaggio.
Dalle parole tanto involontarie, banali e superficiali quanto gravissime di Barbara Palombelli che in diretta nazionale ha affermato “Al Nord più morti perché più ligi al lavoro”, al titolo che ha causato scandalo di Enrico Mentana che esaltando il fatto che le testate estere hanno raccontato il Cotugno di Napoli come esempio internazionale di ospedale Covid, ha titolato “Napoli ha anche un’eccellenza”.
Sono lapsus involontari, di chi in realtà davvero non ha nulla contro il Mezzogiorno anzi, ma hanno lo stesso sottofondo delle dichiarazioni di un leader nazionale che da anni sta provando a far dimenticare il suo passato quando si scagliava contro i “terroni”.
Quel Matteo Salvini che il 31 marzo aveva dichiarato incredulo “Impossibile così pochi casi di coronavirus in Campania”.
Il virus ha fatto saltare anni di narrazione dell’efficienza nordica. I sistemi sanitari delle regioni del Nord si sono dimostrati inadeguati e ben diversi da quel raconto che si era fatto per anni. Una sanità piegata al privato convenzionato che dava un ottimo servizio ma che comunque lavorava, giustamente, con logiche di mercato, e le conseguenze oggi si vedono tutte.
Nel racconto nazionale le cose dovevano essere diverse. Il Sud non può avere eccellenze sanitarie, il Tocilizumab lo hanno utilizzato già altrove e il professor Ascierto è solo un provinciale in cerca di visibilità, il Cotugno non lo si racconta e se diventa un caso internazionale bisogna dire che "quella non è Napoli".
Il Sud in questa crisi viene raccontato come la bomba che sta per esplodere, “figuratevi che succede giù se arriva quello che è arrivato in Lombardia”.
Il Mezzogiorno entra nel racconto nazionale dell’emergenza quando si parla di povertà, del pericolo degli assalti ai supermercati, del lavoro in nero, delle criminalità organizzate pronte a sostituire lo Stato.
Eppure la prova di civiltà data dal Sud questa volta è enorme. Le città si sono fermate, le persone hanno rispettato una quarantena più ferrea dei connazionali del nord e hanno affrontato sacrifici economici pesanti non dimenticando la solidarietà.
Questo virus ha cambiato gli equilibri, gli albanesi aiutano gli italiani, i cubani vanno a salvare il PIL capitalistico del cuore europeo, il Sud Italia dimostra di essere terra di eccellenze.
Il fatto che in questa crisi il racconto debba cambiare per molti è innaturale e in maniera involontaria si oscurano le positività. Del Cotugno, infatti, ne hanno parlato le Tv straniere, le nostre sguinzagliano giornalisti al Sud in cerca di ospedali abbandonati.
Chiariamoci il Mezzogiorno in molti casi e in molte cose è quel gigante fermo, è un territorio che convive con problemi enormi e atavici perché incapace di affrontarli, ma è assurdo continuare a non accorgersi che esistono realtà che andrebbero esaltate, raccontate, mostrate. Non solo per renderle esempio ma per rompere una narrazione anche involontaria fatta di “anche”, di un Sud raccontato come “non ligio” e di un popolo italiano diviso.
Questo virus però, piaccia o meno, ha abbattuto i confini interni ed esterni, non solo geografici ma anche sociali, economici e politici a dividere e a segnare le vecchie barriere rimane un linguaggio che dovrà adattarsi alla realtà.