Che Conte tenga alla sua reputazione è arcinoto. Anzi, probabilmente nel mondo degli allenatori è quello che ci tiene di più, e che reputazione e terga nelle sue conferenze sempre focose vadano sovente a coincidere è altrettanto noto. E' già accaduto: alla Juventus, all'Inter, al Tottenham. Insomma Conte è abbastanza chiaro: non faccio la Ferrari a noleggio per le belle apparenze, perché poi mi si chiede di andare a 300 all'ora e senza benzina non è possibile. E se non è possibile poi da un lato i tifosi se la prendono con me, dall'altro i detrattori pure, dall'altro ancora si intacca la mia reputazione, cosa che non sono minimamente disposto a consentire.
E questo rende il Conte mister l'esatta antitesi del modello delaurentisiano. Il Conte mister, attenzione, non il Conte uomo che sicuramente dice la verità circa il suo rapporto personale amichevole con De Laurentiis. Personale, sì, perché che quello professionale avrebbe potuto portare ai fuochi d'artificio era arcinoto.
Era arcinoto ancor prima che De Laurentiis scegliesse Conte come allenatore, ma era finito in un cul de sac dopo la stagione del disastro in cui si era messo in testa di poter fare tutt'assieme e con successo il presidente, l'allenatore, il diesse, il diggì, il team manager e via dicendo, ritrovandosi da vincitore dello Scudetto a decimo, erodendo tutto quel che aveva portato la stagione spallettiana.
Aveva una sola scelta possibile a quel punto Adl, la sola in grado in un colpo di riaccendere gli entusiasmi, di porsi a garanzia di un progetto vincente e senza ingerenze nefaste degli alti piani. Sarebbe stato un salto nel buio pure Gasperini, che per quanto artefice di meraviglie all'Atalanta non ha a curriculum esperienze in squadre che partono per vincere, se non quella all'Inter che non depone bene.
Dunque? Pizzico sulla pancia e consapevolezza che assieme ai risultati sarebbero arrivati, senza remore, gli strali pubblici in caso di politiche societarie non gradite. Laddove la tendenza alla sfuriata pubblica è all'incirca la criptonite, neutralizzata pure (pare) con qualche clausola di riservatezza. Ma altre strade non ce n'erano. E poi quella di Conte, del grande nome a garanzia di un progetto vincente per ribaltare il borsino degli umori di piazza non è certo un unicum del ventennio delaurentisiano: già percorsa con Benitez dopo l'addio di Mazzarri, soprattutto con Ancelotti dopo la splendida annata sarrista.
Esperienze terminate più o meno in maniera simile. Evidentemente Conte non vuole andare ad ingrassare quelle fila. Non è il tipo.
E' un messaggio d'addio il suo? No, è un messaggio e basta. Certo, in caso di Scudetto appare più probabile che con in tasca un titolo storico Antonio decida di abbandonare: un “veni, vidi, vici” da scolpire nel marmo. Diversamente chiede garanzie per rimanere.
Garanzie vere, visto che quel “Ho capito che non tutto si può fare” è evidenza di qualcosa che è andato in maniera ben diversa rispetto ai suoi piani e forse anche rispetto agli accordi. Non è difficile immaginare cosa.
E dunque? E dunque quello di Antonio ha tutte le sembianze di un “vedo” a poker: Scudetto o non Scudetto la mano servita ce l'ha lui, agli altri starà il dire se il Napoli è effettivamente una squadra di passaggio o un punto d'arrivo, roba per uno che “se va male arriva secondo” o magari per il tentativo di ripristino di una nuova era sarrista con un emergente come Italiano. Insomma un nuovo cul de sac per Adl: che tuttavia in vent'anni se una cosa ha dimostrato è di essere capace di uscirne.