Era il 12 novembre 2023 quando, a seguito della rovinosa sconfitta del Napoli al Maradona contro l'Empoli per 0 a 1, il presidente Aurelio De Laurentiis decise di esonerare Rudi Garcia. A quel punto c'erano solo due strade da poter seguire, enormemente distanti l'una dall'altra: cercare di salvare il salvabile, mettendo una toppa a una ferita che si presumeva rimarginabile, o riprogettare tutto daccapo, riconoscere il proprio grave errore - quello di presumere che la squadra si allenasse da sola - e assumere un allenatore con un progetto, una visione ben precisa e una ben definita personalità.
Si è scelta la prima. E il risultato è stato che, dopo poco più di cinque mesi, al Castellani, e dopo due allenatori ancor più insufficienti di quello allora esonerato, la squadra azzurra ha riperso 1 a 0, con una prestazione di gran lunga più indegna di quella.
Quali che siano state le ragioni di questo assurdo fallimento, sopraggiunto peraltro dopo una stagione bellissima e trionfale, la cosa che sconcerta di più è la rapidità del declino e l'apparente incapacità sia ad analizzarlo che a porvi un qualche rimedio. Vanno viste, infatti, in questa direzione le cure peggiori del male messe in atto dallo staff dirigenziale partenopeo durante il mercato invernale.
Tra calciatori venduti (Elmas), messi fuori squadra senza una plausibile ragione (Demme), scaricati anche in malo modo (Zielinski), sul piede di partenza non ventilato bensì annunciato in pompa magna con tanti ma tanti milioni già pronti a essere messi all'incasso (Osimhen), acquistati nei ruoli già sufficientemente coperti (Ngonge) o presi in prestito senza aggiungere nulla, ma proprio nulla, al valore tecnico della squadra ((Traorè e Dendoncker), la disfatta della SSC Napoli prima che sportiva è stata imprenditoriale.
Immaginate una società di qualunque altro genere, casomai pure quotata in borsa, che consegue un risultato commerciale ed economico straordinario e, invece di tutelare il suo investimento - rinsaldando e migliorando i quadri dirigenziali, specializzando i ruoli professionali, casomai integrandoli anche con figure di alto profilo, motivando le manovalanze con premi o altre incentivazioni - promuove un paio di parenti, gioca al ribasso con tutti i suoi dipendenti, umilia i veri protagonisti di quello straordinario successo appena conseguito e prende in tutti i ruoli chiave collaboratori di scarso o non comprovato valore. Il caos, la debacle e l'ignominia diventano le uniche vere protagoniste della scena.
E, soprattutto, un'impresa napoletana, additata da tutti per solidità finanziaria e arguta gestione, diventa in men che non si dica una barzelletta, un buco nero, una mastodontica farsa, buona a gettare nuovo e - temo - inesorabile discredito su una piazza che non sentiva alcun bisogno di questa ennesima, grottesca umiliazione.