Tornava al Maradona di Napoli la "corazzata Frosinone". Eggià, nessuno se ne stupisca. Non bisognava, infatti, farsi illudere dalla bassa posizione in classifica della squadra ciociara, se poi solo qualche mese fa, con il grande stratega Mazzarri al comando - quello che studiava tutti i moduli di gioco e cercava perfino di farli adottare (tutti insieme, ovviamente) alle squadre che aveva la fortuna di allenare - gli azzurri avevano perso con le riserve avversarie niente di meno che 4 a 0 in coppa Italia.
C'era da dire che il Napoli poteva contare questa volta però sulla matematica salvezza raggiunta già da una settimana - era a 22 punti esatti proprio dal Frosinone terzultimo a 7 giornate dalla fine del campionato - e aveva perciò la possibilità di esprimersi finalmente come meglio non avrebbe potuto, senza cioè l'assillo della retrocessione dopo i fasti della stagione precedente. Del resto nessuno aveva fatto peggio dopo essersi cucito uno scudetto sul petto. Per non parlare dei clean sheets stagionali, dove la squadra partenopea si era distinta per altrettanta inettitudine e ignominia. Insomma, dopo aver mostrato tutto il loro peggio, gli azzurri non potevano che far vedere qualcosa di più tollerabile di quanto fin qui manifestato al Maradona quest'anno. O almeno così i tifosi speravano. E per farlo si ripartiva dall'odiato orario preprandiale, con quella definizione anglofona di "lunch match" che fa capire a tutti quanto innaturale e indigesta può diventare una partita di calcio. E di domenica poi.
Dopo la vittoria del Lecce contro l'Empoli - prossimo avversario del Napoli - al Frosinone occorrevano punti per immaginare un rush finale che gli garantisse una chance di salvezza. La partita era, perciò, ipotizzabile come una di quelle "sporche", dove la fisicità avrebbe in breve preso il sopravvento sulla tecnica, a meno che la squadra azzurra non fosse riuscita a incanalarla quanto prima sul piano della qualità delle giocate e del pensiero. Mancavano Juan Jesus - e si sperava che questa fosse una buona notizia - e Olivera (questa un po' meno), per cui, a meno di sorprese ci saremmo ritrovati in campo Mario Rui e Natan (in caso di ennesima bocciatura del brasiliano, invece, Ostigard). L'opzione B era quella giusta. Era di certo anche l'ora di Zielinski, sperando di averlo in giornata di grazia, nonostante tutto. La partita alla fine, invece, diceva poco o nulla, e da buon pranzo domenicale - quando si mangia tutto e il contrario di tutto - non sapeva né di carne né di pesce.