Lettera aperta: a Rudi Garcia, il mimo (mancato) del grande amore

Lei, caro Garcia, non è stato degno di noi e noi, per non umiliarla oltremodo, la dimenticheremo

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Napoli.  

Caro Rudi - mi consenta la confidenzialità del tono - le scrivo non più sotto mentite spoglie, ma solo per dirle addio. Più d'uno, e molti di loro più competenti e noti di me (non più appassionati però), le hanno parlato di tutti gli innumerevoli errori da lei commessi e a cui lei - nemmeno a uno - ha mai pensato di porre rimedio. Anzi.

Nell'ultima sua prova d'orchestra - chiamiamola pure impropriamente così - lei ha voluto dimostrare al presidente Aurelio De Laurentiis, che l'aveva così opprimentemente precettato, e a tutti noi, allocchi del tifo e dei sacrifici a esso conseguenti, che era perfettamente in grado di fare da solo e, con una squadra di serie B, ha consumato la sua meritata disfatta. Pertanto l'esonero, alla fine e meglio tardi che mai, lei se lo è meritato, così presto come nessuno. No scusi, si è conteso la palma del cacciato più prima che dopo della SSC Napoli col signor Ventura, un babbasone, un po' supponente, ma di gran lunga migliore di lei, fallito in nazionale dopo esserlo stato in vari club meno popolari, blasonati o meno che fossero.

In questi quattro mesi trascorsi qua con noi lei non ha fatto nulla di quello che avrebbe dovuto, non so quanto mal consigliato o solo mal scelto. Ha mimato un ruolo senza sentirsene parte. Non è stato solare, eppure era nella città del sole, non ha parlato di azzurro, di voli pindarici, di congiunzioni indissolubili, eppure era nella metropoli dell'amore e dei "mille colori" - uno più di ogni altro - non ha preso posizione alcuna sui cori e sulle annose emarginazioni, i primi forse non li ha neanche sentiti, per le seconde non si è proprio posto il problema. Eppure non era difficile, chi lo ha preceduto lo aveva fatto, ancora prima di sedersi al tavolo di broccato. Era stato capopopolo e popolo allo stesso tempo, guida e ascolto, anima e sudore. Avrebbe dovuto appena studiare, guardare, ascoltare e vedere. Non ho detto pensare. Se fosse stato intonato avrebbe perfino potuto cantare. Può farlo ora, volendo, sul lungomare di Nizza casomai, non è difficile, ci provi, chissà che non la aiuti a superare questo momento di imbarazzo o ignominiosa sconfitta, veda lei.

La canzoncina, trascritta sulle pettorine dei calciatori del Napoli, il primo, glielo ripeto, il primo giorno di ritiro del signor Luciano Spalletti (ha presente quel vecchietto col cuore da bambino che l'ha preceduta e a cui lei non ha neanche riconosciuto l'onore delle armi?) faceva testualmente così: "sarò con te ma tu non devi mollare" - e proseguiva - "abbiamo un sogno nel cuore, Napoli torna campione". Lui ci è riuscito, e lei?

Temo non comprenda, né comprenderà, le mie parole - poveri fonemi di un tifoso che lei con tanta boria e tanta brutalità ha mortificato - le manca, temo, proprio il necessario: appartenenza, umiltà, sintonia, lungimiranza e meridionalità. Lei, caro Garcia, non è stato degno di noi e noi, per non umiliarla oltremodo, non le rimproveremo altro, ci limiteremo (solo) a dimenticarla. Cordiali saluti.