Il Pd prova a ripartire, ma con i volti tristi di sempre

In sala “gli assassini” del partito e poche idee per il futuro

Napoli.  

Redazione Napoli

Al Pozzo e il Pendolo a Piazza San Domenico Maggiore si sono radunati alcuni esponenti del Pd cittadino e della cosiddetta “società civile” per lanciare un comitato, un percorso, un’idea alternativa alla città di oggi.

Sul cartello che lanciava la manifestazione c’era scritto a lettere cubitali bianche su un rosso spento e un po’ nostalgico: “Una nuova stagione”. 

Di “nuovo”, però, nel teatrino del centro storico non vi era nulla e l’atmosfera funerea si addiceva in maniera avvilente al momento che sta attraversando il Partito Democratico a Napoli come in Italia.

L’intenzione era forse anche notevole ma il risultato è sempre lo stesso e l’immagine ricostruisce in maniera plastica come la classe dirigente democratica napoletana sia completamente distaccata dalla città. 

Il lancio di quello che vuole essere un “un comitato civico di resistenza” è spettato al “giovane”, ormai invecchiato nelle logiche correntizie di partito delle quali è diventato perfetta espressione, Marco Sarracino, che prova per l’ennesima volta a lanciare più che un’idea di città, un’idea di candidatura. 

I volti nella in sala sono quelli delle vecchie, vecchissime stagioni, si rivedono Ernesto Paolozzi, Isaia Sales, Andrea America, Armida Filippelli, Pasquale Belfiore, Guglielmo Allodi, Osvaldo Cammarota, Berardino Tuccillo, Gennaro Esposito, i due Impegno, il padre Berardo e figlio Leonardo, Marco Rossi Doria addirittura sul palco e gran parte di un mondo che ha visto le sue glorie un paio di lustri fa. Mancano i consiglieri comunali e i riferimenti istituzionali del Pd napoletano ma nessuno sembra avvertirne l’assenza.

Mentre vanno in scena sul palco alcuni monologhi visti e rivisti, che sanno di minestrina riscaldata, ma stranamente severi nei confronti del Sindaco di Napoli che fanno quasi sperare ad un ritorno del Pd ad un ruolo di guida di un’opposizione netta agli arancioni in città, in sala fa la sua comparsa veloce e silente, nelle retrovie, l’assessore comunale alla cultura Nino Daniele che dice di essere venuto a nome del Sindaco de Magistris. La sua però è una presenza lampo. Si ferma per una ventina di minuti, la sua insofferenza è chiara, resta in fondo alla sala e poi scappa velocemente ad una riunione di Giunta. 

Mentre si avvicendano sul palco gli avventori, tra un via vai di capi e capetti democratici, che vengono più a mostrarsi che ad ascoltare, si rende chiara e limpida una cosa: da questa sala e da questa realtà non nascerà nessuna nuova stagione e non si costruirà alcun rapporto nuovo e moderno né con la città, né con i napoletani. A dirlo non sono i fatti, i presenti e gli assenti.

È presente un gruppo minoritario di un gruppo politico minoritario in città e nella società. Nella sala c’è quella Napoli, quella realtà sociale, politica e culturale alla quale la città e i cittadini sicuramente devono molto, ma che oggi è lontana anni luce da ciò che accade fuori dalle loro logiche, e travestirsi da società civile, in una fase di richiesta di risposte radicali e urgenti, non può funzionare.

Quella di ieri sera non era molto diversa da una delle tante meravigliose e intricate cene con delitto che di solito si mettono in scena a Il Pozzo e il Pendolo. La vittima era il Pd, un’idea alternativa di Napoli e il civismo di una città che ha voglia di partecipare in maniera vera ai processi politici e non di farsi cooptare. Gli assassini, parte di loro, erano comodamente seduti sulle poltrone in sala nascosti nel buio o sotto i riflettori della ribalta, convinti che per fuggire dalle responsabilità basti indossare un travestimento “civile”.